Fiction

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Dal latino fingere, che può rivestire il triplice significato di modellare, immaginare e simulare, f. è il termine con cui nella lingua inglese si designano tutte le opere di immaginazione e di fantasia; in sostanza, è sinonimo di narrativa o story-telling. Sebbene si presti, nella sua accezione più allargata, a essere applicato a ogni forma di racconto di immaginazione che la storia umana abbia conosciuto – dalle pitture rupestri, alla poesia epica, alle opere teatrali, ai diversi generi di prosa letteraria, alla narrazione cinematografica, ai fumetti e ai cartoni animati – il termine f. tende a essere utilizzato in due principali e specifiche accezioni: la prima circoscrive, nell’ambito letterario, la produzione prosastica di romanzi e novelle; la seconda si riferisce, nell’ambito mediologico, alla produzione narrativa della televisione, o f. televisiva (serie, serials, telefilm, telenovelas...). Di fatto l’uso corrente della parola f., senza bisogno di ulteriori specificazioni, rimanda immediatamente alla televisione e costituisce in tal modo una spia eloquente del dato-per-ovvio che l’invenzione e il racconto di storie appartengono oggi in misura preminente al medium televisivo.
La nozione di f., nel suo significato di creazione fantastica, è costruita e situata in netta opposizione a quella di fact: la realtà fattuale autentica e non immaginaria che è ritenuta essere fonte e materia dei generi dell’informazione, della produzione documentaristica e – fuori dalle teorie e dalle pratiche della comunicazione – soprattutto della scienza. Se è ben lontana dal costituire, a sua volta, un fact – specie in una fase in cui l’accelerata evoluzione e confusione dei generi mediali rende più che mai difficile distinguere tra finzione e realtà – l’opposizione polare tra f. e fact continua tuttavia a funzionare come un basilare principio di individuazione e di riconoscimento ormai radicato nel senso comune; ma soprattutto è servita ad alimentare, in un passato le cui derive sono ancora rintracciabili nel presente, atteggiamenti di forte sospettosità intellettuale e giudizi o pregiudizi svalutativi nei confronti della f.
Già il romanzo e il racconto letterario, dapprima riguardati come creazioni ingannevoli e menzognere, e perciò moralmente discutibili, hanno stentato a lungo a trovare una legittimazione nella cultura delle società europee. Quanto alla f. televisiva, accanto alla critica negativa che non cessano di suscitare i prodotti di finzione e di evasione, ha dovuto scontare anche il problematico e forse tuttora incompiuto riconoscimento collettivo del suo statuto. La convenzionale associazione della nozione di narrativa alla produzione letteraria – o anche cinematografica, dopo che il cinema si è accreditato fra le espressioni artistiche – offre e suscita infatti resistenze all’idea che la f. televisiva costituisca a sua volta una forma di narrativa, una declinazione audiovisiva del romanzo e del racconto. Più esattamente, la f. rientra nel grande solco delle narrative popolari, nella tradizione del feuilleton e del melodramma ottocentesco o, per andare più indietro nel tempo, dei bardi e dei cantastorie itineranti; non a caso, l’immagine della televisione come "il bardo della nostra cultura" (Fiske e Hartley, 1978) ha guadagnato larga circolazione nel campo internazionale dei television studies.
Se non l’unica – la stessa informazione è a suo modo un racconto di storie – la funzione narrativa della televisione trova nella f. la sua espressione più rilevante e significativa, che ne fa il "central story teller system" del tempo presente (Carey, 1988). La centralità della f. come forma di storytelling può essere a stento sottovalutata: essa costituisce, con tutta evidenza, il più imponente corpus narrativo dei nostri giorni, e forse di tutti i tempi. Nessun altro sistema narrativo del presente o del passato ha mai coinvolto audience di decine di milioni di persone, come quelle che ogni giorno in tutto il mondo si sintonizzano su serie e serial televisivi.
Nella scia di una crescente legittimazione della cultura popolare contemporanea come oggetto di attenta considerazione intellettuale, da oltre un decennio la f. televisiva ha cominciato a essere riguardata quale importante fenomeno istituzionale sociale e culturale. Di fatto, per quanto all’apparenza godano di scarsa reputazione in una opinione comune inevitabilmente tributaria delle gerarchie ufficiali del gusto e del consumo, le storie narrate dalla televisione rivestono significati importanti e offrono materiale di grande interesse per intendere la società e la cultura di cui sono espressione. Al pari di ogni altra forma di story-telling, la f. non rispecchia né deforma la realtà, ma la seleziona, la rielabora e la commenta, rientrando in tal modo nella sfera delle pratiche interpretative mediante le quali in ogni epoca l’umanità ha costruito visioni del mondo e dato senso alla vita quotidiana.
La f. televisiva assolve ad almeno tre funzioni principali.
a) La prima è la funzione affabulatoria, ovvero l’offerta iterata e la narrazione incessante di storie, che rispondono all’esigenza diffusa, profonda e universale, e soddisfano al piacere altrettanto diffuso, profondo e universale di abbandonarsi al flusso del racconto. La sete di storie è inesauribile negli esseri umani e il fatto che le grandi, unificanti narrative religiose, politiche e scientifiche tendano nel mondo contemporaneo a ritrarsi sullo sfondo – se non proprio a scomparire, secondo un’ipotesi post-modernista – induce a fare affidamento su uno story-telling forse più frammentato, composto di piccole storie e pezzi di storie quotidiane, ma con tutta evidenza intensificato come non mai.
b) La seconda è una funzione di familiarizzazione con il mondo sociale; quelli che la f. riprende e articola nelle sue storie sono i temi e gli interessi forti, le questioni elementari e basiche della vita quotidiana: il bene e il male, l’amore e l’odio, la famiglia, l’amicizia, la violenza, la giustizia, la salute e la malattia, la felicità e le disgrazie. Questi temi primari, che coincidono con le esperienze centrali della vita, con tutto ciò che è oggetto dei più intensi investimenti affettivi e valoriali, sono trattati e sviluppati nella f. secondo i moduli semplici e schematici propri della narrativa popolare: caratteri stereotipi, opposizioni nette, motivi ricorrenti, trame convenzionali. Orientata a favorire la comprensione da parte di larghe audience, l’accessibilità dei testi di f. non comporta peraltro né rozzezza di strutture narrative né tantomeno povertà di significati. La f. televisiva lavora su una varietà di formule e di generi – situation comedy, soap opera, telenovela, poliziesco, medical e altri ancora – di cui un vasto corpus di studi ha da tempo analizzato e messo in luce le strategie formali, assai più complesse e talora sofisticate di quanto si possa credere. Anche per questo si può parlare di potenzialità e risorse formative della f.; essa attiva infatti competenze di riconoscimento e di lettura nei confronti di generi diversi, diffonde l’esperienza – mai supinamente passiva, contro uno dei più radicati pregiudizi antitelevisivi – di ricezione dei testi narrativi, abitua a interagire con mondi paralleli che offrono spazi di dilatazione simbolica piuttosto che vie di fuga dal quotidiano.
c) Ma soprattutto la f. assolve la funzione di preservare, costruire e ricostruire un senso comune della vita quotidiana, un sostrato di credenze e di assunzioni condivise, di risposte convincenti e consensuali ai dilemmi dell’esistenza. Una simile funzione, nella quale alcuni studiosi individuano una continuità con il mito (Silverstone, 1981), è di particolare rilievo nella società contemporanea dove la dispersa frammentazione delle esperienze, le spinte soggettivistiche, la rapidità dei mutamenti, il venir meno di sistemi unitari di riferimento morale, acuiscono il bisogno di ‘luoghi del ritorno’ ove ritrovare sintonie e consonanze simboliche e valoriali anche soltanto parziali (Turner Victor). Sebbene questa funzione di mantenimento della comunità e di preservazione e ricostituzione di ambiti di significati condivisi, appartenga alla televisione in quanto tale – o almeno alla televisione generalista che abbiamo finora conosciuto – le storie di f. vi contribuiscono nel modo più consistente e decisivo, grazie soprattutto alla loro capacità di suscitare l’ascolto e il coinvolgimento di audience vaste ed eterogenee, nazionali e sovranazionali.
Sempre la f. infatti, molto più di qualsiasi altro genere o programma televisivo e a somiglianza invece del cinema, è veicolo di quella internazionalizzazione del consumo mediale che nel ‘caso Dallas’, nella prima età degli anni Ottanta, ha trovato la sua più dibattuta e controversa espressione. Il forte volume d’importazione di f. nord e ora anche sudamericana da parte delle televisioni dei Paesi europei, e non soltanto europei, si spiega essenzialmente con le economie che l’acquisto di programmi stranieri – in specie seriali e dunque in grado di assicurare una prolungata copertura dei palinsesti – consente di realizzare, rispetto ai costi più onerosi della produzione interna. Il fenomeno ha evidentemente importanti ripercussioni culturali, che non si esauriscono nella presunta minaccia di una colonizzazione del gusto, evocata soprattutto in presenza di larghi o duraturi successi internazionali: come nel caso di Dallas, negli anni Ottanta, o di Beautiful, negli anni Novanta. In realtà, la circolazione dei programmi di f. oltre i confini dei paesi di produzione pone più interessanti quesiti, che gli studiosi cominciano appena ad esplorare: essi riguardano, in particolare, il ruolo sia delle strutture narrative seriali sia di specifiche componenti di genere, di linguaggio e di contenuto della f., nel dare vita a storie universali che riescono a farsi ascoltare e seguire da pubblici di tutto il mondo. (Cultura e media; Cultural studies)

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Buonanno Milly , Fiction, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (19/04/2024).
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