Chiesa e immagini

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Esempio di inconoclastia alla Cattedrale di San Martino ad Utrecht
Presentiamo le alterne tappe della storia della giustificazione dell’immagine nella comunicazione del messaggio cristiano.

1. Antichità cristiana

1.1. Secoli I-IV.
I cristiani assumono immagini dei contemporanei per esprimere episodi della Scrittura e usano raffigurazioni simboliche. Prevalgono il divieto dell’Antico Testamento (Esodo 20, 4) e la polemica antipagana; ma si registrano pitture nelle catacombe di Callisto e nel battistero di Dura-Europos, decorato da soggetti dell’Antico e Nuovo Testamento, nel sec. III. Il can. 36 del concilio di Elvira (313 ca.), però, attesta già l’oscillante posizione della Chiesa: "non ci debbono essere pitture nella chiesa, affinché non sia dipinto sulle pareti quel che viene venerato e adorato".
A metà del sec. IV nasce un’arte cristiana con immagini antropomorfiche, separate dalla corrispondente scena biblica. Vi allude Eusebio di Cesarea: "Se vuoi fartene una somma immagine, quale miglior pittore avrai mai dello stesso Verbo di Dio (la Scrittura)?". C’è qui per la prima volta "uno dei nodi problematici dello statuto delle immagini nel cristianesimo: qual è il rapporto tra Scrittura e rappresentazione visiva" (Menozzi, 1995). Questo rapporto, dalla seconda metà del IV secolo, è visto in chiave didattica. "Tutto questo (le gesta del martire Teodoro) il pittore l’ha detto dipingendo artisticamente per mezzo di colori, come se fosse un libro che parla apertamente. Infatti la pittura, per quanto silenziosa su una parete, è in grado di parlare e di recare grandissimo giovamento" (Gregorio Nisseno, Elogio di S. Teodoro). Nelle catechesi di Cirillo e di Ambrogio, la Bibbia fornisce un testo-base, letto nell’assemblea e immagini (tipi) raffiguranti il mistero, presentato ai catecumeni e ai neofiti. Testi dei Padri (i quali spesso erano i committenti) ispirano architetture e raffigurazioni dei battisteri. Una sinossi del Martimort mette in relazione le letture per la catechesi della liturgia romana nel VII secolo con i soggetti dipinti sui muri degli ipogei e mostra che la maggior parte di tali soggetti corrisponde a una di queste letture: l’interpretazione dei cicli pittorici catacombali è fatta mediante la catechesi dell’iniziazione cristiana (Martimort, 1949).

1.2. Secoli V-VII.
Paolino di Nola (a. 403) giustifica la pittura cristiana auspicando che "la figura rivestita di colori attragga con questi spettacoli l’interesse delle menti attonite dei contadini; essa è spiegata dalle iscrizioni, affinché lo scritto mostri ciò che la mano dell’artista ha eseguito e, mentre tutti a vicenda additano e leggono le figure dipinte", ritardano il tempo in cui cibarsi e bere ("i bicchieri si fanno più rari" (Poema 27, vv. 511-517; 542-548; 580-595). Qui la funzione delle pitture non è solo didattica. Nilo di Ancira (sec. V): "La mano del migliore pittore ricopra la chiesa di immagini dell’Antico Testamento e del Nuovo Testamento, affinché gli illetterati, che non possono leggere le Scritture, si istruiscano guardando le gesta gloriose di coloro, che hanno fedelmente servito il vero Dio e siano invitati ad imitare sì nobile condotta" (Lettera, 79, 578-579). Pure Ipazio: "(così) noi permettiamo alle persone più semplici, siccome sono meno perfette, di imparare tali cose (conoscenza di Dio), come iniziazione, anche per mezzo della vista, che è più appropriata alla loro natura". In Occidente il papa Gregorio I (detto Magno, papa negli anni 590-604) sistematizza questi inizi: "... le pitture si usano perché chi non sa leggere, possa leggere guardando sulle pareti quello che non sa leggere nei libri" (1a. Lettera a Severo di Marsiglia). (Si può) "imparare per mezzo della pittura storica ciò che si deve adorare"; "la pittura insegna agli illetterati ciò che la Scrittura insegna ai letterati" (2a. Lettera al medesimo, a. 600 ca.). Essa è una "pia istruzione". Di Gregorio Magno è proprio quest’ultimo elemento; il secondo (la venerazione) si svilupperà più tardi. Il ‘principio di equivalenza’ tra Scrittura e immagine di Gregorio Magno incontra, però, interpretazioni diverse: autonomia dell’immagine rispetto al testo; ruolo subordinato dell’immagine rispetto all’annuncio della parola; ricorso al ruolo di controllo della gerarchia per determinare contenuti e modalità di quella equivalenza. È indubbio che esisteva una pratica di annuncio della Scrittura mediante immagine; non è chiaro in che misura i predicatori si servissero delle immagini come catechesi.

2. Alto Medioevo

2.1. Secoli VIII-X. Dall’immagine all’icona: dalla didattica al culto.
In Occidente i missionari annunciano ai germani Cristo come il Dio più potente, raffigurato come padrone che domina e giudica. Cristo interviene mediante i santi soccorritori, anch’essi rappresentati in immagini-annuncio; si rende presente la persona santa, che accetta l’atto di venerazione e la richiesta d’aiuto. Qui il rapporto tra predicazione-immagine riguarda il carattere di annuncio dell’immagine stessa. In Oriente, dal VI-VII secolo, all’immagine-racconto subentra l’immagine di culto: "si fusero ampiamente immagine e persona raffigurata e la venerazione di Cristo e dei santi diventò venerazione delle immagini" (Thümmel, 1993). Il prototipo non solo è rappresentato ma è ritenuto presente nella sua immagine, che si fa icona in quanto partecipa della natura divina del rappresentato. Il contatto fisico con l’immagine permette il contatto spirituale col mondo divino, in quanto lo Spirito Santo raggiunge l’icona. Si stabilisce anche l’interpretazione spirituale dei teologi, riconducenti le espressioni della pietà popolare a categorie corrette.

2.2. Teologia dell’icona: tra Oriente e Occidente.
Nel 730 l’imperatore d’oriente Leone II Isaurico (675-741) decretò la distruzione delle immagini. A questa disposizione si oppose risolutamente Giovanni Damasceno (696-749), sacerdote e teologo di origini siriane, ricordando che l’Antico Testamento proibisce le immagini per tener lontano il popolo ebraico dal pericolo dell’idolatria, mentre per i cristiani la situazione è profondamente diversa: Dio si è reso concretamente visibile in Gesù. L’icona, materia piena di luce, può rappresentare il Cristo, proprio perché egli è divenuto realtà storica attraverso l’incarnazione: "puoi fare l’immagine della sua forma umana, perché l’invisibile è diventato visibile per la carne; ... riproduci la sua forma su un quadro, ed esponi alla vista colui, che ha accettato di essere visto" (Difesa delle immagini sacre, I, 8). L’adorazione vera e propria va al Prototipo, cui rinvia l’immagine; a questa va una venerazione. I principi del Damasceno sono ripresi dal 2° concilio di Nicea (787) per il quale le icone, al pari dei Vangeli, annunciano che il Verbo si è incarnato: l’icona esprime in immagine le parole annunciate dal Vangelo. Più tardi, la posizione franca ("né adorare, né distruggere", dei Libri carolini, a. 792 ca.) viene superata da nuovi sviluppi in Occidente. Intanto la vittoria di coloro che difendono le immagini apre coi secoli IX-X l’età d’oro dell’arte bizantina.

3. Sviluppi nell’Occidente medievale

3.1. Nei secoli XI–XII.
Le immagini e le statue sono venerate, come attesta un convertito alle immagini, Bernard d’Angers (1020 ca.): "È un vecchio uso che (...) si eriga in oro, in argento o in qualsiasi altro metallo, (...), la statua del santo locale, per collocarvi (dentro) la testa dello stesso santo o più in generale una parte assai venerabile del suo corpo"; ciò vale anche per "l’immagine del Signore" (Wirth, 1989). Nell’arte romanica, alle fastose chiese cluniacensi si contrappone la corrente cistercense con san Bernardo (1090-1153). Dura la sua critica: "le pitture curiose (...), mentre sviano sopra di sé l’occhio degli oranti, ne impediscono la devozione"; si vedono nelle chiese "reliquie coperte d’oro", "immagini bellissime di santo e santa", "ruote di gemme, circondate di lampade (...) con intarsi di perle preziose", "per candelabri si alzano certi alberi fabbricati in bronzo massiccio"): in tutto questo c’è un duplice danno, quello per il mancato soccorso ai poveri ("La chiesa riveste d’oro le sue pietre e abbandona nudi i suoi figli") e quello per l’arricchimento dei monasteri ("Gli occhi sono colpiti dalle reliquie coperte d’oro e intanto dalle borse escono i baiocchi", Catella, 1997).
Tuttavia si diffonde l’idea che la bellezza artistica "trasporti dalle cose materiali a quelle spirituali", e, "grazie all’analogia, da questa dimora inferiore a quella superiore". L’abate di Saint Denis, Sigieri (1145 ca.), è uno dei grandi promotori di questa nuova sensibilità artistico-religiosa da cui nasce l’opus novum et modernum, il Gotico.

3.2. Secoli XIII-XV: Tra Medioevo e Rinascimento.
Con l’arrivo di icone bizantine in Occidente e la riproduzione di loro modelli su tavola, seguita da confezione di statue-reliquiari, si diffondono immagini, spesso ‘miracolose’, funzionali a suscitare suppliche, pia meditazione, visioni mistiche. Alcuni tipi di immagini hanno funzione di comunicazione e di devozione, come la imago pietatis, la croce dipinta e la deposizione dalla croce. Qui l’immagine realizza, soprattutto, lo stimolo alla devozione, il terzo scopo dell’immagine secondo la teoria di Gregorio Magno. La imago pietatis (la raffigurazione di Cristo sofferente) è collegata ai testi latini del Planctus e alle laudi in volgare: "un linguaggio, che un pubblico storicamente determinato, era in grado di comprendere" (Belting, 1986). Tutto ciò diviene attuale, mediante il culto, ed espressivo, mediante il dramma della passione. Le immagini religiose ora cominciano a ‘parlare’ nel contesto cultuale: la ‘elevazione’ nelle celebrazioni; la ‘esposizione’ fuori della celebrazione, su palcoscenici (eminens pulpitum). La deposizione dalla croce è un gruppo scultoreo in legno a cinque figure (Cristo, Maria, Giovanni, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea: Cristo è inchiodato solo per i piedi, le braccia sono aperte in gesto di abbraccio). Intorno al 1200 numerosi dipinti veneti attestano la venuta, dalla Baviera, del dramma della ‘depositio’ liturgica, diffusosi poi in Toscana e nell’Italia centrale. Il contesto è quello delle lamentazioni mariane extraliturgiche (Belting, 1986).

3.3. Predicazione e immagini. Predica e devozione della passione.
Nel Quattrocento è documentabile il rapporto, tra i ‘topoi’ delle prediche e quelli delle immagini. In conventi francescani il testo della predica è addirittura citato nell’immagine. I libri di prediche francescane abruzzesi hanno indicazioni visive: quando il predicatore parla della crocifissione, viene mostrato (ostenditur) il crocifisso, con recita di rime a modo di planctus da parte del predicatore. In verità, i predicatori medievali erano discreti quanto all’uso di immagini; faceva eccezione il crocifisso (Liber noster debet esse crucifixus), come immagine che condensava tutta la predicazione.

3.4. Dal Gotico all’Umanesimo.
Il gotico, attraverso sussidi materiali (elementi artistici preziosi: opus novum o modernum), privilegia la raffigurazione pittorica rispetto alla scrittura come mezzo di comunicazione del messaggio cristiano, per cui "nella chiesa non abbiamo tanto rispetto per i libri quanto per le immagini e le pitture" (Durando, 1286 ca.), loro interpretazione da decifrare. Con l’umanesimo, ben accolto dalla Chiesa, non viene meno il suo controllo sulle immagini. Ad esempio l’arcivescovo di Firenze, Antonino, per altro favorevole all’arte e all’autonomia dei pittori, è intransigente quanto a soggetti iconografici immorali ("immagini che inducono alla libidine") ed eterodossi ("un’immagine della Trinità come una persona con tre teste", Durando). I grandiosi progetti architettonici e artistici, poi, di pontefici, come Niccolò V (1447-1455), mirano a nuove immagini con scopi politico-ecclesiastici. Nella Firenze umanistica, Girolamo Savonarola, fedele alla funzione educativa delle immagini per i non dotti, impone il rifiuto delle rappresentazioni ‘disoneste’ ("Voi fate parere la Vergine Maria vestita come meretrice", a. 1496). Così nei ‘roghi delle vanità’ finiscono anche pitture e sculture indecenti. Le idee del Savonarola influiscono su artisti fiorentini come Fra Bartolomeo della Porta e Botticelli.

4. Età moderna

4.1. L’atteggiamento protestante.
La visione della devozione tardomedievale è influenzata dalla storiografia protestante. Tuttavia si erano verificati abusi e contro di essi già avevano reagito Wycliffe e i Lollardi. Lutero, attento all’inculturazione della fede (qui, come già nel canto) favorisce sia il ruolo catechistico delle immagini, sia il principio della libertà individuale ("le immagini non sono necessarie, ma siamo liberi di averne o di non averne", né bisogna fare un obbligo di quel che Dio ha lasciato libero (Terza predica, 11-III-1522). Aggiunge tuttavia che "sarebbe meglio aiutare i poveri piuttosto che erigere molte immagini" (Quarta Predica, 12-III-1522). Egli utilizza un’opportuna iconografia propagandistica delle sue idee riformatrici e l’illustrazione della Bibbia. Non sfuggono al suo influsso artisti come A. Dürer e H. Holbein. Deciso iconoclasta è, invece, Calvino, che influisce su Rembrandt. L’Inghilterra accetta le tesi iconoclastiche con Elisabetta (1559).

4.2. Il Decreto Tridentino (3 dic. 1563) e la sua applicazione.
Esso segue alla pubblicistica cattolica contro le tesi calviniste: "ad esse (immagini) si deve attribuire il dovuto onore e la venerazione, (...) perché l’onore loro attribuito si riferisce ai prototipi, che esse rappresentano". Della ricezione del decreto è emblematico uno scritto di Carlo Borromeo (Milano, 1577), che attesta il controllo episcopale sugli artisti e sul clero: "Ogni immagine risponda pienamente alla verità della Scrittura, della tradizione, della storia ecclesiastica e agli usi di santa chiesa".

4.3. Tra riforma cattolica post-tridentina e controriforma.
La ricezione del decreto tridentino, al positivo, presenta un progetto d’arte cristiana da parte di J. Molanus (Lovanio, 1594), che stabilisce per ogni santo e mistero del calendario liturgico la corretta iconografia: "Le pitture sono dette i libri dei laici e degli idioti; (...) dunque quello che è proibito nei libri, è proibito anche nelle pitture". Nell’apertura alla devozione è pure presente un realismo naturalistico e storico, fedele al testo scritturistico, attento alla memoria corretta della storia della Chiesa, a rappresentare la natura come disegno di Dio, per la riforma della vita cristiana. Paleotti (Discorso intorno alle immagini sacre e profane, 1594) propone, non seguito da Roma, un Indice delle immagini proibite, con un atteggiamento centralista della Chiesa e con un dirigismo in tema di forme devozionali. "L’ambigua storia del cristianesimo, che per tanti secoli aveva contenuto in sé iconoduli e iconoclasti in equilibrio precario, evolveva ora in una divaricazione totale, non senza produrre, però, a un livello culturale, importanti e duraturi risultati" (Scavizzi, 1992). Il controllo ecclesiastico sulle immagini spezza il legame tra Scrittura e pittura e introduce le immagini simboliche. Strumento di controllo sono l’inquisizione e gli interventi dei vescovi in visita pastorale (cfr. Sacrosanta di Urbano VIII, 1642). Attraverso il quietismo (l’immagine ostacola la contemplazione), il giansenismo (la raffigurazione della verità biblica, storica e naturale favorisce la vita cristiana) si giunge all’illuminismo.
4.4. Riformismo e ‘pietà illuminata’ nel secolo XVIII.
L’intervento romano. L’illuminismo cattolico regola le immagini per una vita cristiana in chiave biblica e cristocentrica. Se il giansenismo illuminato vieta raffigurazioni pietistiche e rilancia il progetto di rappresentazioni bibliche con finalità didattica (Sinodo diocesano di Pistoia, 1786), le sue deliberazioni s’infrangono contro quelle della bolla Auctorem fidei di Pio VI (1794). Tra la fine del sec. XVIII e l’inizio del sec. XIX, sullo sfondo della decadenza delle immagini, la Chiesa si limita a una funzione legislativa di conservazione e restaurazione del patrimonio artistico.

5. Età contemporanea

5.1. Secolo XIX. Arte sacra in crisi. Verso un rinnovamento.
Si fa viva la reazione a un’espressione artistica non cristiana. A Roma, in Francia e in Inghilterra la reazione, guidata dai Nazareni, rinvia alla muta praedicatio premoderna, favorita dalla spiritualità alfonsiana, seguita alla spiritualità giansenista: si passa dal "Dio terribile al Dio d’amore". La pittura nazarena è componente essenziale dell’ottimismo cristiano, vivo dal 1830 al 1850. Il tentativo romano con Lacordaire di ritrovare nel Medioevo (Fra’ Angelico) l’ispirazione cristiana fallisce nella seconda metà dell’Ottanta, anche a motivo dello stile di Saint-Sulpice, caratterizzato da immagini stereotipate e dolciastre. Contro una tale arte frivola reagiscono specialmente i vescovi belgi (1886).

5.2. Secolo XX: tra condanne e aperture. Fino al Vaticano II.
In Francia, intellettuali quali J. Maritain, in linea con l’idea del ritorno al Medioevo cristiano, avvertono l’esigenza della Biblia Pauperum, come funzione educativa: nasce un Atelier d’art chrétien per artisti cristiani. Ma la Chiesa diffida di quest’arte creativa e Pio XI condanna la "nuova arte sacra" nel 1932 (de Lavergne, 1992). Si contrappone, però, un’apertura in campo missionario col delegato apostolico C. Costantini in Cina (1922), per il quale l’arte cinese offre valide possibilità espressive; modelli iconografici indigeni sono adattati al culto cattolico. Divenuto segretario di Propaganda Fide, egli estende a tutte le missioni i principi verificati in Cina, distinguendo così Chiesa universale e iconografia occidentale. Più tardi, dopo la seconda guerra mondiale, un gruppo di teologi e artisti della rivista L’art sacré, conclude che l’arte sacra, ridotta a merce industriale e standardizzata, è incapace di mediare il Vangelo. La via di soluzione è il dialogo degli artisti con comunità cristiane autentiche. Intanto, ambienti conservatori influiscono sulla gerarchia contro questo "modernismo artistico". Nel Discorso agli artisti del 1952, Pio XII dirà: "Dalla fede essi (i sommi maestri) attinsero le sublimi ispirazioni (...). A ragione furono detti ‘Bibbia del popolo’ i capolavori artistici (...)". Con l’Istruzione, poi, del S. Uffizio (1952), l’arte figurativa è posta sotto il controllo degli ordinari (Menozzi, 1995).

5.3. La svolta del Vaticano II. Gli orientamenti del postconcilio.
In una prima tappa, con la Costituzione Sacrosanctum Concilium (1963), i vescovi si aprono alle tendenze estetiche contemporanee, auspicando un pluralismo di stili, pur riconfermando che esistono dei limiti alla creatività dell’artista (ivi, cap. 7). Nel 1964, Paolo VI nell’Incontro con gli artisti tende loro la mano, segno del desiderio di riconciliazione da parte della Chiesa. Poi, con la Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (1965) la Chiesa ricupera valori, prima contrastati: "Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi".

5.4. La sfida attuale.
L’eccezionale sviluppo dei media ha determinato l’onnipresenza delle immagini. La sfida della comunicazione impone anche alla Chiesa un rinnovato uso, rendendo così sempre più sentita l’esigenza di ricercare le vie di incontro del Vangelo con i modelli figurativi attuali. L’immagine infatti può diventare "Parola", ma solo quando "arriva a coniugare le due fonti costitutive del cherigma evangelico, che sono l’esperienza da una parte e il testo biblico dall’altra" (Cottin, 1993).

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Note

Come citare questa voce
Pasquato Ottorino , Chiesa e immagini, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (29/03/2024).
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