Catechesi
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Autore: Roberto Giannatelli
1. La c. nella Chiesa
Il termine c. fa parte del linguaggio del cristianesimo e risale alle sue origini. Nel Nuovo Testamento il verbo catechein è impiegato nel senso di: insegnare oralmente, istruire, raccontare. Il suo significato originale è quello di far ritenere una parola e suscitare un’eco di ritorno, un feedback.Nel corso della storia della Chiesa il termine ha avuto una diversa risonanza. Nei primi secoli la c. è strettamente connessa con un tirocinio di apprendimento della vita cristiana chiamato ‘catecumenato’. Nell’epoca medioevale la c. indica l’apprendimento mnemonico delle formule essenziali, mentre l’educazione della fede viene curata nell’ambiente sociale profondamente segnato dalla presenza del cristianesimo (feste e tradizioni religiose, cattedrali e opere d’arte, vera Biblia Pauperum per il popolo cristiano, predicazione intensa e testimonianza dei santi), e soprattutto nell’opera educativa della comunità e della famiglia.
Nell’epoca moderna, con l’introduzione della stampa, il libro del catechismo viene ad avere una particolare importanza. I secoli XVI-XIX sono detti a ragione i ‘secoli dei catechismi’. Alcuni di questi diventeranno dei classici nella storia della lingua nazionale e del pensiero religioso, come quelli protestante di Lutero, e cattolici del Canisio e del Bellarmino.
Nel secolo XX, entrata in crisi la socializzazione religiosa tradizionale e avanzando la secolarizzazione della società, la Chiesa ripropone un’esperienza catechistica più ampia che riprende l’ispirazione dell’antico catecumenato, in cui sono in gioco non solo la componente conoscitiva della fede, ma anche l’appello etico e la partecipazione alla vita della comunità.
In Italia Il rinnovamento della catechesi o Documento di base del progetto catechistico italiano (1970) segna l’inizio di una stagione feconda in cui i Vescovi italiani danno il via alla preparazione di vari catechismi secondo le tappe della vita cristiana. A livello di Chiesa universale, il Sinodo dei Vescovi del 1977 e l’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Catechesi tradendae (1979) hanno tracciato le grandi linee della catechesi postconciliare. Essa viene definita come Parola o cifra che spiega l’esistenza umana fondandosi sulla Parola di Dio rivelata; memoria che celebra l’evento del Signore Gesù nella storia; testimonianza che muove il cristiano verso la vita di preghiera e di partecipazione liturgica e all’impegno personale nella vita della Chiesa e nella società (Sinodo dei Vescovi 1977, Messaggio al popolo di Dio).
Il Catechismo della Chiesa cattolica di Giovanni Paolo II (1992) segna un punto di arrivo: la riconsegna al popolo cristiano della fede tradizionale della Chiesa, mediata però dall’aggiornamento voluto dal Papa Giovanni XXIII e attuato dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Da ultimo, il Direttorio generale per la catechesi (1997) ha delineato il quadro teologico e pastorale nel quale dovrà svolgersi l’attività catechistica della Chiesa nel nostro tempo. La c. viene considerata nel contesto più ampio dell’evangelizzazione già delineato da Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975): mentre il primo annuncio si rivolge ai non credenti e a quelli che, di fatto, vivono nell’indifferenza religiosa, con la funzione di annunciare il Vangelo e chiamare alla conversione, la c. promuove e porta a maturazione la conversione iniziale, educando alla fede e incorporando il credente nella comunità cristiana (Direttorio, n. 61). Una relazione di distinzione e complementarità caratterizza pertanto i due momenti dell’unica missione evangelizzatrice della Chiesa.
Quanto al rapporto tra c. e comunicazione sociale, va notato che fin dalle sue origini la catechesi ha utilizzato i mezzi della comunicazione sia verbale che non verbale. Ci limiteremo ora a considerare quanto è avvenuto nella seconda metà del secolo XX, con l’avvento dei media elettronici, distinguendo tre fasi dello sviluppo:
la c. e gli audiovisivi (AV);
la c. e il processo di comunicazione;
la c. e la cultura dei media.
Quanto verrà annotato deve essere letto entro categorie più ampie come quella del rapporto tra Chiesa e comunicazione sociale, e in quel "cammino di avvicinamento" che ha fatto passare la Chiesa da un atteggiamento di diffidenza e condanna, a una presa di coscienza della positività e delle risorse presenti nella comunicazione mediale (Eilers-Giannatelli, 1996).
2. C. e audiovisivi
Un primo rapporto tra c. e comunicazione mediale è avvenuto attraverso ‘il settore degli audiovisivi’. L’esortazione Catechesi tradendae aveva richiesto ai catechisti di "ricercare le vie e i mezzi più adatti per svolgere la propria missione" sottolineando "le grandi possibilità che offrono i mezzi di comunicazione sociale e i mezzi di comunicazione di gruppo: televisione, radio, stampa, dischi, nastri registrati, tutto il settore degli audiovisivi" (n. 46).Di fatto una grande produzione di filmine, diapositive, materiali di fotolinguaggio, si è sviluppata tra gli anni Settanta e Ottanta e ha trovato in Pierre Babin in Europa (ma con influssi nelle Chiese emergenti dell’Asia e Africa) e Manuel Olivera in America Latina i teorici che hanno elaborato i fondamenti del nuovo metodo e formato centinaia di operatori della c.
L’AV è entrato nella prassi catechistica ed è stato utilizzato sia come mezzo didattico, sia come nuovo linguaggio della fede.
Come mezzo didattico, gli AV hanno offerto un sussidio utile per la c.: hanno fornito il punto di partenza esperienziale, l’esemplificazione concreta e il ‘rinforzo’ all’insegnamento catechistico che però è rimasto immutato nella sua sostanza. In questo senso gli AV hanno rappresentato un contributo ‘esterno’ alla c.
Come linguaggio, gli AV hanno valorizzato un aspetto originale della comunicazione della fede, complementare rispetto alla comunicazione ‘verbale’ (orale e scritta). Il linguaggio ‘non verbale’ dell’immagine e del suono (soprattutto quando è unificato per opera del missaggio) ha offerto alla c. strategie comunicative nuove. Non solo le parole, ma anche l’espressione di un volto, l’evocazione di un simbolo, la suggestività di una narrazione, sono ‘canali’ attraverso i quali passa il contenuto della fede cristiana.
I catecheti hanno messo in evidenza la complementarità delle due comunicazioni: verbale e non-verbale. La prima favorisce la chiarezza, la linearità, la consequenzialità, la definitorietà del discorso catechistico; la seconda esalta l’aspetto suggestivo, emotivo, appellante, simbolico della comunicazione della fede. P. Babin ha sottolineato la necessità di utilizzare entrambi i canali: quello ‘didattico’ della comunicazione ‘verbale’ per non abbandonare la precisione del linguaggio, il rigore e la linearità delle parole e del discorso, la capacità di analisi, astrazione e sintesi, che rappresenta una delle conquiste storiche dell’umanità; e il canale ‘simbolico’ dell’AV, che fa appello, invece, alla conoscenza intuitiva, globale e artistica, e fa leva sulla conoscenza intima, l’emozione e il piacere. Entrambi i canali sono necessari, anche se Babin ritiene più rispondente al nostro tempo quello del linguaggio simbolico e dell’AV.
L’AV ha avuto nella c. degli anni Settanta e Ottanta una utilizzazione diversificata, secondo il metodo adottato nella c.:
a) nella c. ‘tradizionale’ l’AV è stato impiegato come illustrazione del testo e della lezione;
b) nella c. ‘attiva’ l’AV ha presentato una nuova chance per la partecipazione degli allievi alle lezioni. L’AV non è stato visto solo come prodotto da ‘guardare’, ma come testo da ‘produrre’ coinvolgendo nel processo gli allievi stessi;
c) nei ‘metodi di gruppo’ ( Group media) l’AV è stato uno strumento impiegato per creare il gruppo, suscitare una coscienza critica, aiutare adolescenti e giovani a esprimere e comunicare la fede.
Verso la fine degli anni Ottanta l’era degli AV catechistici vede il suo rapido declino, sostituiti da videocassette e CD-Rom (CD). Il modello della c. si perfeziona grazie al progredire degli studi sulla comunicazione sociale.
3. C. e processo di comunicazione
In un secondo tempo, il rapporto tra c. e comunicazione è stato studiato alla luce delle strategie del processo di comunicazione. Si è preso coscienza che la catechesi è in modo eminente un atto di comunicazione (Fossion, 1990); e che la dinamica del processo di comunicazione può offrire un contributo per comprendere meglio (e progettare meglio) l’atto catechistico, come in epoca precedente le categorie della pedagogia avevano fornito utili indicazioni alla educazione della fede. Lo schema della comunicazione proposto da R. Jakobson sembrò offrire, pur con le dovute precauzioni, un modello trasferibile allo ‘schema’ della comunicazione catechistica. Vengono così identificati l’emittente, il recettore, il messaggio, significante e realtà significata), il contesto (situazione globale che dà alla comunicazione la sua chiave di interpretazione), il codice e il contatto. Il messaggio della fede viene trasmesso da un emittente e raccolto da un recettore secondo un codice e in rapporto con la realtà cui si riferisce (Ricezione).La relazione tra significante e significato assume un duplice valore:
denotativo, quando il significato è immediato, senza bisogno di ulteriori interpretazioni;
connotativo, quando il segno rinvia a un altro significato: è quest’ultimo livello, portatore di senso, che interessa in modo particolare la c.
Un altro set di indicazioni fornite dallo schema generale della comunicazione di R. Jakobson, è quello relativo alle funzioni degli elementi della comunicazione (soggettiva, referenziale, poetica, conativa, metalinguistica, fática).
Anche l’insegnamento di Catechesi Tradendae (C.T.), si trova "sotto la categoria comunicazione" (Lever, 1980; Fossion, 1990) e pone le condizioni per attuare una c. come comunicazione autentica. In sintesi:
a) Emittente e ricevente devono essere motivati e trovarsi sulla stessa lunghezza d’onda. Già il Documento base per la c. italiana Rinnovamento della catechesi aveva raccomandato: "La Parola di Dio deve apparire a ognuno come una apertura ai propri problemi, una risposta alle proprie domande, un allargamento ai propri valori ed insieme una soddisfazione alle proprie aspirazioni" (n. 52). In modo analogo C.T. richiede che i testi catechistici siano "realmente collegati con la vita concreta della generazione alla quale si rivolgono, tenendo ben presenti le sue inquietudini e i suoi interrogativi, le sue lotte e le sue speranze" (n. 49).
b) Codificazione e decodificazione devono essere corrette. Come viene ‘codificata’ la fede? Perché possa essere oggetto di comunicazione, il contenuto trascendente dell’esperienza cristiana si concretizza in elementi percepibili dai sensi (parole, scrittura, immagini, gesti...) e così diviene comunicabile. Si tratta di un’antica legge della comunicazione della fede: mediantibus signis salus nobis revelatur. Lo studio della comunicazione umana apporta utili indicazioni: emittente e recettore devono utilizzare lo stesso codice (si pensi al linguaggio della c. e alla cultura giovanile); il recettore non è ‘tabula rasa’, ma ‘decodifica’ in base alle precomprensioni e alle esperienze precedenti; si comunica non solo con le espressioni esplicite, ma anche con il tono della voce, il non-detto, l’immagine che si fornisce di sé. Su quest’ultima qualità della comunicazione della fede, era intervenuto Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. La comunicazione evangelica si fonda sulla testimonianza dell’emittente: "L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; e se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni" (n. 41). In C.T., sono presenti riferimenti su questo punto (cfr. n. 9, 10, 17, 51).
c) L’attenzione al feedback. Si tratta di uno dei concetti fondamentali messi in luce dagli studi sulla comunicazione. Anche nella c., il ‘ritorno di informazione’ all’emittente è essenziale per conoscere se gli obiettivi sono stati raggiunti. Nessun catechista è in grado di sapere che cosa realmente comunica (che cosa il recettore decodifica) se non riceve la relativa conferma dal ricevente. "Una comunicazione autentica si realizza soltanto quando emittente e ricevente si scambiano informazioni, e di queste informazioni tengono conto" (Lever, 1980). C.T. ricorda che il messaggio evangelico si trasmette mediante il "dialogo apostolico" (n. 55), e dialogo implica reciprocità, un processo di dare e ricevere.
d) Attenzione al maestro interiore. La c. non ha nulla a che fare con l’indottrinamento o la cattura dell’interlocutore alle proprie idee o interessi. In termini teologici, si dirà che il garante della comunicazione autentica è un ‘altro’ che parla prima del catechista e oltre il catechista: il maestro interiore, lo Spirito Santo (S. Agostino). Il garante divino non dispensa il catechista dalla ricerca umile della verità, nella condizione di ‘viatore’: il catechista è in cammino con altri fratelli verso la verità piena che ancora non possiede (C.T. 72).
Concludendo. Questa ulteriore tappa verso la comprensione piena della realtà comunicativa della c. ha offerto elementi importanti: non si tratta solo di acquisire tecniche e di usare strumenti; si comunica per quello che si è, e un più probabile successo è garantito se l’atto catechistico sarà rispettoso delle leggi e condizioni del processo di comunicazione.
4. La c. e la cultura dei media
Negli anni Novanta si fa più chiara la convinzione che il rapporto della c. con i mezzi della comunicazione sociale non può limitarsi all’impiego dei media considerati come semplici ‘mezzi’. La c. dovrà puntare sull’integrazione dei contenuti della fede con la ‘cultura’ dei media. Lo stesso Magistero della Chiesa ha sollecitato un cambio di prospettiva (Eilers-Giannatelli, 1996)."La via attualmente privilegiata per la creazione e per la trasmissione della cultura sono gli strumenti della comunicazione sociale. Anche il mondo dei mass media, in seguito all’accelerato sviluppo innovativo e all’influsso insieme planetario e capillare nella formazione della mentalità e del costume, rappresenta una nuova frontiera della missione della Chiesa" (Esortazione apostolica Christi fideles laici, 1988, n. 44).
"Il primo areopago del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta modificando l’umanità rendendola come si suol dire ‘un villaggio globale’. I mezzi di comunicazione sociale hanno raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in modo condizionato dai media (...). Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e il Magistero della Chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso in questa ‘nuova cultura’ creata dalla comunicazione moderna" (Lettera enciclica Redemptoris Missio, 1990, n. 37).
"Se la Chiesa deve sempre comunicare il suo messaggio in modo adeguato a ciascuna epoca e alle culture delle nazioni e dei popoli specifici, deve farlo soprattutto oggi nella cultura e per la cultura dei nuovi media" (Istruzione pastorale Aetatis Novae, 1992, n. 8).
I media moderni sfidano la Chiesa sul terreno della cultura. Il problema non è nuovo per la c. L’inculturazione della fede ha accompagnato da sempre lo slancio missionario della Chiesa (Fossion, 1990). Ma si tratta ora di attuarlo in una cultura che appare non solo nuova, ma problematica e per la quale gli operatori pastorali della Chiesa non sono ancora preparati. Come orientarsi?
a) Il primo areopago dei tempi moderni. "L’apostolo Paolo, dopo aver predicato in numerosi luoghi, giunto ad Atene, si reca all’areopago dove annuncia il Vangelo, usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell’ambiente (cfr. Atti 17,22-31). L’areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo ateniese, ed oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si deve proclamare il Vangelo" (Redemptoris Missio, 37).
Oggi Papa Giovanni Paolo II afferma che il "primo areopago dei tempi moderni" è il mondo della comunicazione. Il catechista dovrà aver presente come si caratterizza questo nuovo ‘areopago’ in cui dovrà comunicare la fede cristiana con un linguaggio "adatto e comprensibile".
1) Si tratta di una cultura popolare segnata dai media ( Cultural studies). Questi fanno un uso predominante dell’audiovisivo fino a creare una ‘cultura dell’immagine’. I moderni media hanno creato un linguaggio di straordinaria efficacia: "le parole e le immagini sono entrate in una nuova relazione sotto il controllo dell’elettronica" (Babin, 1991).
2) I media possiedono una grande capacità nel narrare storie, drammatizzare eventi, contrapporre caratteri e situazioni, spettacolarizzare il quotidiano, provocare emozioni e coinvolgimento, creare partecipazione, suscitare desideri, speranze e ideali. La sfera affettiva dell’uomo è fortemente coinvolta.
3) I media hanno imposto un tipo di comunicazione in cui soggettività e format (la modalità di presentazione) hanno un ruolo determinante. Più del contenuto è importante chi lo dice, come lo dice e in quale contesto. Si tratta di una cultura spesso incoerente, frammentaria, dell’effimero.
4) I media hanno oggi la funzione di alimentare l’ immaginario collettivo, come un tempo avveniva attraverso i miti, i riti, le feste. I media sono i nuovi "narratori rituali" (Gerbner) della nostra società. Sanno esprimere bene le tensioni e i desideri della condizione umana, i conflitti e gli insuccessi, i punti di non ritorno e le invocazioni, le esperienze luminose e i momenti di trascendenza. La dimensione religiosa della vita è da essi toccata esplicitamente o anche solo implicitamente. I media si propongono come nuova religione che ha la pretesa di dirci come stanno le cose, come funzionano e cosa dobbiamo fare noi.
5) I media propongono, infine, modelli di comportamento e uno stile di vita dei quali sono sensibili soprattutto le nuove generazioni. Con il loro linguaggio visivo, concreto e diretto, i media irradiano un senso di godimento, anche di sensualità ed erotismo. Parlano con il linguaggio del piacere e della libertà assoluta in contrasto con quello dell’ascesi e del dovere. Propongono modelli di comportamento violento soprattutto nella televisione.
Con questo tipo di cultura (abbiamo solo esemplificato: si vedano le voci: Cultura; Cultura e media; Effetti dei media; Teorie psicologiche della comunicazione; Teorie sociali della comunicazione) deve confrontarsi la c. odierna. Sarà possibile ottenere, oltre il confronto, anche una integrazione?
b) Il catechista comunicatore. Come nelle fasi precedenti il rapporto tra c. e comunicazione sociale si è concretizzato nell’adattamento del messaggio secondo metodologie nuove, sarà ora possibile ‘inculturare’ la fede nella cultura dei media? E quali sono i nuovi compiti del catechista?
1) Un iniziale atto di fiducia verso i media è necessario per avviare il dialogo culturale. "Se si considerano i media solo negativamente, allora non ci si può attendere di scoprire in essi una spiritualità. Con occhi e orecchi negativi non si può cogliere una spiritualità, anche quando è presente. La nostra tesi è che i media audiovisivi possono essere una miniera e sorgente di momenti e aspetti di spiritualità (Hoekstra, 1995).
2) L’areopago dei media va, poi, considerato come un’importante fonte di informazione per la c. Il catechista deve tenersi informato e deve riflettere su ciò che i media offrono riguardo al senso della vita, dell’etica e della religione. Ciò che tratta la c. è sovente anticipato dai media. I catechisti dovrebbero discutere i temi che essi propongono e avvertire il linguaggio da loro usato. Dovrebbero anche interrogarsi sull’impatto che i messaggi dei media hanno sui loro giovani. I media sono oggi il contesto in cui si svolge il dialogo culturale tra Chiesa e mondo. Perché la c. possa offrire un "ministero interpretativo nella luce del Vangelo", è necessario capire e dare senso a ciò che essi propongono. 3) Il catechista dovrà farsi un’idea chiara del compito della Chiesa di fronte ai media moderni. È tipico dei media essere incoerenti, frammentari, superficiali. La Chiesa, al contrario, ha un sistema più coerente per trasmettere dei messaggi già ricchi di significato. Attraverso il servizio della parola, la preghiera e la diaconia, la Chiesa può contribuire a un panorama di senso più coerente, alla riduzione della frammentazione, alla coltivazione di un’etica e spiritualità dei media che giovano alla pienezza dell’uomo e alla convivenza sociale. Imparare a percepire la dimensione religiosa della vita nel grande areopago dei media è un compito imprescindibile della c. odierna.
4) Il catechista dovrà introdurre i media nella c., e non come semplici ‘mezzi’. Potrà impiegare utilmente videocassette e audiocassette destinate a questo scopo: esse "posseggono una forte potenzialità in grado di aiutare le persone a progredire culturalmente, socialmente e nella sfera religiosa" (Messaggio di Giovanni Paolo II per la XXVII Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 1993). Si farà, inoltre, promotore di un dialogo sui media, in occasione della visione di un film o programma televisivo (registrato) oppure dell’ascolto di una canzone. Si tratta di applicare alla c. la prassi già consolidata del cineforum, teleforum, discoforum (Hoekstra, 1995).
5) La c. nei mass media. Il principio pastorale era stato indicato chiaramente dal Papa Paolo VI: "Posti al servizio del Vangelo, i mass media sono capaci di estendere quasi all’infinito il campo di ascolto della Parola di Dio, e fanno giungere la buona novella a milioni di persone. La Chiesa si sentirebbe colpevole di fronte al suo Signore se non adoperasse questi potenti mezzi (...); servendosi di essi la Chiesa ‘predica sui tetti’ (Matteo 10,27) il messaggio di cui è depositaria; in loro essa trova una versione moderna ed efficace del pulpito. Grazie a essi riesce a parlare alle moltitudini" (Evangelii Nuntiandi, 45).
Le applicazioni sono molteplici: illustrazione del Vangelo della domenica, messe e liturgie teletrasmesse, programmi con il Papa, vere e proprie c. nelle emittenti cattoliche (Sat 2000).
6) Un ministero ecclesiale per la comunicazione sociale? Il nuovo compito della c. richiede un nuovo soggetto pastorale nella comunità cristiana? Mentre si richiede a ogni catechista di acquisire conoscenze, sensibilità e abilità operative nuove, sembra rendersi necessaria la figura di un ‘catechista comunicatore’ (a livello di parrocchia, zona pastorale, diocesi) dotato di una sufficiente professionalità e impegnato con una maggiore continuità. Si è ipotizzata la figura laicale del ‘comunicatore cristiano’ scelta dal parroco (o del responsabile di zona), preparato appositamente, con un ruolo preciso e dotato di visibilità. Potrebbe essere una nuova forma di "ministero laicale" riconosciuto dalla comunità (Borobio-Ramos, 1997).
5. La formazione dei catechisti alla comunicazione sociale
Il Direttorio generale per la c. pone il principio che il catechista acquista la conoscenza dell’uomo e della realtà in cui vive anche per mezzo delle scienze umane (...) in primo luogo della psicologia e della sociologia (n. 242). Nulla viene detto sullo studio delle scienze della comunicazione sociale, come è invece avvenuto per la formazione dei sacerdoti (Congregazione per l’educazione cattolica, Orientamenti per la formazione dei futuri sacerdoti circa gli strumenti della comunicazione sociale, 1986).Gli orientamenti citati offrono indicazioni che potrebbero essere tenute presenti anche nelle scuole per i catechisti. La formazione del catechista dovrebbe avvenire secondo tre livelli:
Livello di base o di ‘nuova alfabetizzazione’. Questo livello è evidentemente previo alla formazione specifica del catechista. Si tratta di apprendere a "leggere e scrivere con i media": un’opera di media education (Masterman, 1997). Il catechista sarà ‘alfabetizzato’ mediaticamente quando:
avrà acquisito conoscenze, abilità e atteggiamenti necessari per capire di più sui media e il modo con cui essi ‘costruiscono la realtà’ (dovrebbe essere chiaro che essi non sono la realtà, ma rappresentazioni, costruzioni della realtà) secondo un linguaggio specifico;
avrà sviluppato una consapevolezza delle implicanze sociali, culturali, politiche ed economiche che stanno alla base dei messaggi e dei valori proposti dai mass media (in particolare il rapporto tra pubblicità e media, ideologia e media, potere politico e media);
sarà capace di ‘decodificare’ i testi dei media e di capire la ‘logica’ del loro linguaggio;
avrà appreso a ‘scrivere’ con i media, almeno a un livello iniziale, e di applicare questa acquisizione nella pratica catechistica (Media education; Educomunicazione).
Livello della formazione catechetica nel campo della comunicazione sociale. Questo livello mira al conseguimento di tre obiettivi:
essere padroni del mezzo, che porta all’uso corretto degli strumenti della comunicazione sociale;
la maturità di giudizio, che farà del catechista ‘una guida e un maestro’ degli altri;
una sensibilità e una competenza che permetterà al catechista di ‘integrare il vangelo nella cultura dei media’.
A questo livello la formazione del catechista esige tre momenti complementari:
la formazione pratica finalizzata al possesso del medium (macchina fotografica, video, unità di montaggio, ecc.) in modo da garantire l’uso corretto dello strumento;
la formazione intellettuale: al pari di psicologia e sociologia, le scienze della comunicazione dovranno far parte del curricolo degli studi del futuro catechista;
l’integrazione della c. nella nuova cultura dei media a partire dai principi elaborati dalla teologia della comunicazione.
Livello specialistico che comporta la frequenza di una Facoltà universitaria specializzata nel campo della comunicazione e aperta alle problematiche ecclesiali. Si tratta di operare nelle diocesi un’opera di talent scouting per scoprire le vocazioni latenti di sacerdoti, religiosi/e, laici che, coltivate, potranno offrire nel futuro degli autentici specialisti per l’attuazione della c. in relazione con i mezzi della comunicazione sociale.
Solo curando una formazione sistematica dei catechisti e dei loro animatori nel campo della comunicazione sociale, ci si può attendere un salto di qualità nella prassi catechistica.
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Bibliografia
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- LEVER F. - PASQUALETTI F. - PRESERN V.A., Dai loro frutti li riconoscerete. Comunicazione Coerenza Azione, LAS, Roma 2011.
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- SODI Manlio - LA TORRE Giuseppe (edd.), Pietà popolare e liturgia, Libreria Editrice Vaticana, Vaticano 2004.
- SPOLETINI Domenico, Mass media e catechesi, Edizioni Paoline, Roma 1976.
Documenti
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Links
- Catechismo della Chiesa Cattolica sul sito del Vaticano
- Direttorio Generale per la Catechesi sul sito della Santa Sede
- Lesortazione apostolica Evangelii Nuntiandi (1975) di sua santità Paolo VI sul sito della Santa Sede
- L’esortazione apostolica Catechesi Tradendae (1979) di sua santità Giovanni Paolo II sul sito della Santa Sede
- Testo integrale e presentazione del documento Il Rinnovamento della Catechesi (1970) sul sito ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana
Note
Come citare questa voce
Giannatelli Roberto , Catechesi, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (09/10/2024).
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