Karaoke
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Autore: Guido Michelone
Il termine giapponese (che letteralmente significa orchestra vuota) entra nel linguaggio comune in Italia dal 1992 grazie al successo dell’omonima trasmissione, in Prime time, animata su Italia 1 da Fiorello, già cantante e imitatore. Il k. è una sorta di game show, ovvero di gioco musicale, che dopo anni di oblio riporta in auge il piacere di combinare lo spettacolo, la canzone e l’agonismo come ai tempi paleotelevisivi del Musichiere (1957-1960) con Mario Riva o di Sette voci (1966-1969) col debuttante Pippo Baudo. Il meccanismo è semplice: su una base orchestrale preregistrata si alternano tre solisti dilettanti che a turno interpretano il segmento di un motivo famosissimo con le parole del testo che scorrono su uno schermo in sovrimpressione. L’efficacia del k. televisivo riguarda soprattutto la staffetta tra i concorrenti, dove è importante inserirsi, senza sbagliare, gli accenti ritmici e le strofe poetiche, onde imitare al meglio lo spirito della canzone in rapporto alla versione originale. A tale proposito non era un caso che a inventare e popolarizzare il k. italiano, tra il 1992 e il 1994, fosse proprio Fiorello, già messosi in luce con due dischi di copie perfette dei più noti cantanti moderni: egli si inseriva spiritosamente tra i gareggianti, intervenendo fino a coprire le eventuali stecche e a dare a ogni brano la giusta intonazione.
Il successo del k. deriva da due intuizioni: la prima concerne l’ambientazione, con il programma registrato dal vivo, in piazza, in giro per tutti i centri italiani, dai villaggi alle metropoli, riportando idealmente la Tv ai tempi di Campanile sera (1959-1961) di Enzo Tortora quando per la prima volta nel nostro Paese la piazza (intesa come gente, bandiera, provincia, cittadinanza) diventava protagonista, con squarci visivi su realtà talvolta misconosciute, all’insegna di una Nazione che passava dal ruralismo povero al boom industriale. Anche nel k. degli anni Novanta c’era un’Italia omologata dall’effimero e dal consumismo, di cui il k. resta forse il più esplicito simbolo neotelevisivo (Neotelevisione). Il k. mostra anche l’Italia, piccola e grande, dei magnifici centri storici: le poche inquadrature con totali o campi lunghi spaziano su luoghi più o meno noti, sempre belli e affascinanti, nonostante la telecamera si soffermi pochissimo su monumenti o centri storici, preferendo scrutare una fauna pittoresca dappertutto uguale e conformista, una folla ignara delle suggestioni urbanistiche, accorsa in piazza per mero esibizionismo e per culto divistico.
La seconda intuizione del k. trascende l’effetto televisivo, che tra l’altro già dal 1995 aveva iniziato a dare segni di cedimento a causa dei nuovi presentatori Fiorellino e Antonella Elia. Il k. è diventato quindi un pretesto, da cui improvvisare un coretto davanti al piccolo schermo: un giochino di gruppo senza pretese o un divertente passatempo tra i membri della famiglia, che non va confuso con forme di partecipazione o interattività che il k. televisivo strutturalmente non può affatto praticare.
Ma è proprio il meccanismo agonistico, con le didascalie che pubblico e cantanti devono fedelmente seguire, a decretare la fortuna del k. al di là dell’uso mediologico, facendo del match del Sol Levante un diversivo per i bar, i ristoranti e le discoteche, un momento addirittura concertistico nelle sagre e nelle feste paesane, un gadget come gioco da tavola e infine un regalo per i bambini che con un apposito apparecchio possono imitare la televisione e costruirsi, fantasticando, la propria trasmissione.
Il successo del k. deriva da due intuizioni: la prima concerne l’ambientazione, con il programma registrato dal vivo, in piazza, in giro per tutti i centri italiani, dai villaggi alle metropoli, riportando idealmente la Tv ai tempi di Campanile sera (1959-1961) di Enzo Tortora quando per la prima volta nel nostro Paese la piazza (intesa come gente, bandiera, provincia, cittadinanza) diventava protagonista, con squarci visivi su realtà talvolta misconosciute, all’insegna di una Nazione che passava dal ruralismo povero al boom industriale. Anche nel k. degli anni Novanta c’era un’Italia omologata dall’effimero e dal consumismo, di cui il k. resta forse il più esplicito simbolo neotelevisivo (Neotelevisione). Il k. mostra anche l’Italia, piccola e grande, dei magnifici centri storici: le poche inquadrature con totali o campi lunghi spaziano su luoghi più o meno noti, sempre belli e affascinanti, nonostante la telecamera si soffermi pochissimo su monumenti o centri storici, preferendo scrutare una fauna pittoresca dappertutto uguale e conformista, una folla ignara delle suggestioni urbanistiche, accorsa in piazza per mero esibizionismo e per culto divistico.
La seconda intuizione del k. trascende l’effetto televisivo, che tra l’altro già dal 1995 aveva iniziato a dare segni di cedimento a causa dei nuovi presentatori Fiorellino e Antonella Elia. Il k. è diventato quindi un pretesto, da cui improvvisare un coretto davanti al piccolo schermo: un giochino di gruppo senza pretese o un divertente passatempo tra i membri della famiglia, che non va confuso con forme di partecipazione o interattività che il k. televisivo strutturalmente non può affatto praticare.
Ma è proprio il meccanismo agonistico, con le didascalie che pubblico e cantanti devono fedelmente seguire, a decretare la fortuna del k. al di là dell’uso mediologico, facendo del match del Sol Levante un diversivo per i bar, i ristoranti e le discoteche, un momento addirittura concertistico nelle sagre e nelle feste paesane, un gadget come gioco da tavola e infine un regalo per i bambini che con un apposito apparecchio possono imitare la televisione e costruirsi, fantasticando, la propria trasmissione.
G. Michelone
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Michelone Guido , Karaoke, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (04/12/2024).
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