Letteratura e comunicazione sociale

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Philip K. Dick (Chicago, 16 dicembre 1928 – Santa Ana, 2 marzo 1982)

1. La questione storica

Esaminando il rapporto tra la letteratura e la comunicazione sociale, si pone innanzitutto una questione che riguarda la storia stessa della comunicazione, che ha le proprie basi nell’oralità e attualmente ha il suo vertice nei media elettronici. Da una cultura orale che si esprime attraverso la parola pronunciata, si è passati a una cultura manoscritta, che si è espressa con la scrittura, alla cultura tipografica, che ha fondato la diffusione del libro, alla cultura elettrica ed elettronica, che ha fatto seguito all’invenzione di radio, televisione e quindi del computer e della telematica. Si può avere l’impressione erronea che si sia trattato di un’evoluzione a strati in cui una cultura e una forma espressiva susseguente abbia integrato la precedente in una linea continua: dalla parola pronunciata a tu per tu, alla comunicazione attraverso immagini e suoni trasmessi a distanza. Secondo Walter J. Ong molti credono che nella sfera della comunicazione un nuovo mezzo "elimini semplicemente ciò che esisteva prima. Oggi si sente dire che i libri sono finiti, che radio e televisione li hanno rimpiazzati. Ebbene, chiunque pensi ciò è ben lontano dalla realtà. [...] No, il nuovo mezzo di comunicazione rafforza il vecchio, però lo cambia" (Ong, 1993). Dunque, se abbiamo a che fare con un progresso, dobbiamo precisare che i livelli di comunicazione sono diversi e fanno appello ad abilità differenti, generando tuttavia interazioni inedite.
La comunicazione di un testo scritto non può essere risolta in immagini, né quella delle immagini in movimento in un resoconto orale. È anche vero, d’altra parte, che i media in genere hanno cambiato le modalità di lettura e di scrittura, rimodellato le abilità e addirittura i processi educativi. Mentre il mondo della parola "punta sulla logica, i rapporti di successione, la storia, l’esposizione, l’obiettività, il distacco e la disciplina", il mondo delle immagini è "imperniato sulla fantasia, il racconto, la contemporaneità, la simultaneità, l’intimità, la gratifica immediata e la rapida risposta emotiva" (Postman, 1992). La questione dunque si sposta nettamente a livello del linguaggio.

2. La questione dei linguaggi

La lingua letteraria (sia in prosa che in versi) pone in secondo piano il fine puramente pratico di comunicazione per rivolgere una speciale attenzione alla scelta dei segni e alle corrispondenze tra significanti e significati. Essa innanzitutto è costituita da immagini, da similitudini, da combinazioni non codificate nella lingua d’uso, che danno vita a una maggiore densità espressiva. La lingua letteraria arricchisce il messaggio di significati supplementari, lo sovraccarica di valori emotivi, sentimentali, ideologici, consentendogli così una grande ricchezza di significato. Alle possibili ambiguità e polivalenza di senso si aggiunge il fatto che un testo, anche quello più formalistico, non può prescindere da tutta un’altra serie di elementi che nel testo si intrecciano continuamente: tradizione letteraria e retorica, riferimenti storico-sociali, ideologici, culturali, ecc. Il paragrafo di un romanzo può ‘denotare’ qualcosa di preciso come una scena familiare o descrivere un paesaggio, ma può essere ricco di tante ‘connotazioni’ di tipo simbolico, affettivo, allegorico, morale, che si intrecciano a tutti i livelli (fonologico, metrico, sintattico, culturale, storico...) che nel testo continuamente interagiscono. Così sempre, in una analisi letteraria, al primo piano di valutazione, chiaramente di tipo denotativo e informativo, deve far seguito l’analisi del piano connotativo. Solo così avremo la visione globale, la sintesi di contenuto e forma operata dallo stile. (Denotazione; Connotazione; Analisi)

3. Letteratura e cinema

Non sono pochi gli scrittori che hanno compiuto riflessioni sul cinema. Possiamo ricordare in rapida carrellata il racconto Cinematografo cerebrale di De Amicis, La Filosofia del cinematografo di Papini, l’attività di Gozzano per la casa cinematografica Ambrosio. E poi Una recita cinematografica di Tozzi e ancora possono essere citati nomi come Majakovskij, Gide, Julien Green, Machado, Huxley, Bontempelli, Piovene, Brancati. È da notare comunque come questa collaborazione tra cinema e letteratura fu a volte dettata da motivazioni economiche più che dal reale interesse degli scrittori. D’altra parte il cinema, nell’intento di nobilitarsi come arte, ha fatto ricorso alla letteratura nella forma del corteggiamento di scrittori di grido. Il caso più eclatante, forse, fu quello che nel 1914 vide la collaborazione di D’Annunzio al film Cabiria di Giovanni Pastrone: D’Annunzio si limitò a riscrivere le didascalie già abbozzate dal regista e a dare il nome ai personaggi, ma bastò questo a ‘consacrare’ il film con l’autorità del poeta-vate. Uno tra i migliori scrittori che si occupò sapientemente di cinema, anche se non senza qualche imbarazzo, fu Pirandello, in particolare con i suoi Quaderni di Serafino Gubbio operatore. E non è un caso che Pirandello sia stato anche autore di teatro. Il cinema si colloca in una posizione intermedia tra il teatro che ‘rappresenta’ e il romanzo che ‘narra’.
Se per un testo letterario il livello lento e paziente di decodifica interiore è un elemento essenziale della fruizione, si può dire altrettanto per la narrazione di tipo audiovisivo? La capacità narrativa di un romanzo si fonda sulla parola e quindi ha bisogno che il lettore gli offra la complicità della propria immaginazione, la quale è condizionata dall’intelligenza, dalla formazione, dallo stato d’animo, dalla disponibilità del lettore. Ogni descrizione in parole muove all’invenzione immaginaria. Al contrario, il film presenta una precisa mediazione visiva tra parola e immaginazione: nel romanzo la vita è rivissuta, nel cinema invece ‘accade’ davanti agli occhi. Ha scritto Italo Calvino: "Raccontare in letteratura e raccontare in cinema sono operazioni che non hanno nulla in comune. Nel primo caso si tratta di evocare delle immagini precise con delle parole necessariamente generiche, nel secondo caso si tratta di evocare dei sentimenti e pensieri generali attraverso immagini necessariamente precise" (Calvino, 1995). Ovviamente l’una e l’altra situazione restano aperte all’evocatività propria di ogni opera d’arte: "il significato dell’immagine non risponde al contenuto letterale della sua rappresentazione, ma si realizza per un’operazione mediatrice, astratta e stilistica dell’autore" (García Jiménez, 1996).
I rapporti tra cinema e letteratura non sono riducibili, come spesso avviene, alla questione del rapporto tra i romanzi e i film che da essi vengono tratti. Del resto è ovvio che l’artisticità di un film non consiste in ciò che esso, inteso come mezzo espressivo, ha in comune con le altre arti, ma nei caratteri dello specifico linguaggio della poetica filmica. Tuttavia il rapporto tra il film e il romanzo, da cui può essere tratto, costituisce il primo interessante e problematico luogo di relazione tra cinema e letteratura. Sono possibili almeno tre livelli di relazione.
a) È possibile che lo sceneggiatore faccia man bassa di alcuni elementi di un’opera letteraria (personaggi, intreccio, particolari) e da questo saccheggio realizzi un film, semplificando i dialoghi, togliendo ogni oscurità del testo, dando rilievo drammatico ai personaggi, utilizzando ogni tecnica per catturare lo spettatore.
b) D’altra parte, il regista può operare una mediazione tra l’opera letteraria e il pubblico, sottomettendosi a ogni particolare dell’opera. Il rischio è quello di una traduzione pallida e sfocata, nella quale, ad esempio, risulta oneroso in termini di azione e vivacità registrare un lungo dialogo o monologo. È da considerare che il film ha sempre una durata limitata rispetto ai tempi richiesti dalla lettura di un romanzo e dunque è necessaria una selezione che può essere concentrazione, ma anche semplificazione. Il regista può così decidere di ‘completare’ il testo letterario con l’aggiunta di qualche particolare che renda l’opera ‘più cinematografica’. Ma, come ha scritto Pio Baldelli, l’errore grave "consiste proprio in un ibrido che voglia movimentare lo statico testo teatrale o letterario con le acrobazie della macchina da presa e il variare degli scenari" (Baldelli, 1964).
c) Il regista però può portare avanti un proprio discorso filmico nei confronti del testo letterario che ha davanti a sé. In questo caso l’opera letteraria diventa un’autonoma ‘provocazione’ all’invenzione cinematografica, cioè spunto narrativo, pretesto. Qui non siamo di fronte a trasposizioni, ma a vere opere nuove, rese autonome rispetto al loro modello da tecniche di addizione, sottrazione, estensione, condensazione, trasformazione, aggiunta di una voce narrante. Può anche accadere che opere letterarie mediocri siano spunto di film di spessore e di valore, come nel caso di Ossessione (di Visconti, 1942) tratto dal romanzo Il postino suona sempre due volte di James Cane. Può accadere che opere letterarie valide ispirino film altrettanto significativi come, sempre per citare Visconti, nel caso del film Il Gattopardo (1962).
In ogni caso assume rilievo la sceneggiatura che sta alla base del film che può essere in se stessa opera di valore letterario. E questo è un altro elemento di relazione forte tra cinema e letteratura. Essa potrebbe anche non esistere, come nel caso di Lo straniero (1967) di Visconti: il regista aveva in tasca solo una copia dell’opera di Camus e a essa fu costretto ad attenersi per i vincoli posti dalla vedova dello scrittore. Tuttavia in genere è presente, anche se poi, in fase di ripresa e di montaggio può anche essere sconvolta o riadattata, come ad esempio accade con il ciclo del Decalogo (1988) di Kieslowski. La sceneggiatura di un film che si ispira a un’opera letteraria può riprendere più o meno fedelmente il testo dell’opera. Può anche accadere che alla fine lo scrittore (e la critica) giudichi meglio riuscita un’opera che si discosta in maniera creativa dal suo testo piuttosto che vi si attenga scrupolosamente (come, ad esempio, è accaduto nel caso di Moravia).
Se la trama può essere condivisa da un film e da un romanzo, ciò che fa lo specifico sta nell’intreccio degli elementi narrativi che devono rispondere a esigenze, criteri, linguaggi e ‘grammatiche’ differenti. Il problema del rapporto tra cinema e lingua è posto dalla semiotica del cinema cui hanno contribuito autori come Christian Metz, Pier Paolo Pasolini, Italo Calvino, Emilio Garroni e Umberto Eco. L’espressione cinematografica non viene dopo la tecnica e il linguaggio propri: le due non sono separabili. L’efficacia rappresentativa del romanzo e del cinema sono inequivocabilmente differenti e così anche le esperienze estetiche che libro e film sono in grado di generare. Si comprende così come, nell’opera filmica riuscita, non sia possibile confrontare sensatamente film e opera letteraria d’ispirazione perché quello non deve a questa altro se non la materia d’invenzione. Essa, tra l’altro, può essere anche frutto di una rielaborazione di miti e archetipi condivisi da più opere letterarie o anche frutto di vari romanzi di uno stesso autore o meno, come accadde a Visconti ne La terra trema (1947-1948) o in La morte a Venezia (1971), dove accanto all’opera di Mann troviamo elementi di ispirazione proustiana.
Si potrebbe anche porre la questione circa la possibile traduzione in romanzo di un’opera cinematografica. Si tratta di una possibilità aperta, anche se poco indagata nelle sue implicazioni. Possiamo solo fornire qualche esempio. Il film 2001 Odissea nello spazio (S. Kubrick, 1968) è tratto da un’idea contenuta nel racconto The Sentinel di A. Clarke (1951). Durante le riprese del film, lo stesso Clarke scrisse il romanzo dallo stesso titolo del film (pubblicato nel medesimo anno). Pasolini ha lavorato contemporaneamente sia a livello narrativo sia a livello cinematografico con il romanzo e il film Teorema, opere presentate entrambe nello stesso anno (1968). Il film Blade Runner di Ridley Scott (1982), ispirato a Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick (1968), ha dato lo spunto a Mike Davis per il suo Ecology of fear (1998), il cui ultimo capitolo ha proprio il titolo di Beyond Blade Runner. A Novecento di Bertolucci (1976) fece seguito la pubblicazione di una sceneggiatura romanzata: operazioni simili sono molto comuni negli USA, dove ogni film con grande budget e adeguato battage pubblicitario è anche accompagnato da una serie di iniziative tra le quali la pubblicazione della sceneggiatura romanzata dello stesso film.
Da notare all’interno delle relazioni tra cinema e libro anche gli elementi che la tecnica cinematografica offre nella lettura o nella composizione di un testo scritto. Un caso evidente riguarda il montaggio, che costituisce la sintassi di un film e che domina tutto il processo creativo, influendo sulla struttura e sull’espressività dell’opera. La costruzione della struttura sequenziale di un racconto (con le regole della sua combinazione in ordine logico-causale, temporale, spaziale o anche simbolico) può essere facilmente resa ‘visibile’ se pensata come un film.

4. Letteratura e televisione

La televisione, come aveva fatto il cinema, si è rivolta spesso a scrittori. In Italia essi hanno avuto anche funzioni direttive. Pochi si sono impegnati nella specifica produzione televisiva degli ‘sceneggiati’. Ricordiamo Mario Soldati, che ha scritto sceneggiati di successo come I racconti del maresciallo (1968). Altre volte invece, specie negli anni Sessanta, il rapporto tra la televisione e la letteratura in Italia ha preso la forma dell’adattamento televisivo di romanzi come Piccolo mondo antico (1957), La Pisana (1960), Il mulino del Po (1963), Mastro don Gesualdo (1964), I promessi sposi (1967), curato non da letterati ma da registi come Sandro Bolchi e Anton Giulio Majano.
Si pone la questione circa la ‘poeticità’ possibile di una comunicazione televisiva: essa può far ben poco ricorso all’ambiguità e alla polivalenza di senso della lingua letteraria.
Innanzitutto si avvertono motivi di carattere economico che impongono tempi di lavorazione più veloci fino a quelli seriali e meccanici della soap opera.
Certamente poi lo sceneggiato televisivo, nella sua tensione alla semplificazione, indirizza con forza la capacità evocativa dello spettatore perché l’esperienza televisiva si rivolge a un ampio pubblico e deve avere una soglia di fruibilità adeguata alla sua audience. Mentre il cinema si orienta maggiormente verso il linguaggio connotativo, la televisione si orienta verso quello denotativo e, giocando con il riflesso più o meno fedele della realtà, crea un universo fittizio. La fiction televisiva si muove tra una simulazione di tipo non narrativo e una narrazione priva di valenze simboliche, generando dei modelli del reale, riorganizzando la quotidianità, come fa il mito, in un cosmos strutturato e comprensibile capace persino di fornire modelli di comportamento (funzione modellizzante) (Casetti-Villa, 1992). Anzi Fiske e Hartley hanno parlato di una funzione bardica della televisione, dove il ‘bardo’ tradizionale è colui che narra le gesta di una comunità, registrandone gli eventi, le preoccupazioni e, trasformandoli in versi, li restituisce alla fruizione di tutti (Fiske-Hartley, 1978). Difficilmente così la televisione può far riferimento alla complessa trama di connotazioni sviluppata da un testo scritto o da un film d’arte: è un parlare di tutti a tutti perché tutti capiscano. Dal punto di vista dello spettatore e della fruizione, l’immagine televisiva trascina lo spettatore in questa dinamica, costringendolo più a un assorbimento passivo e di contesto che a una vera decodifica che lo metta in gioco attivamente: la televisione, ha scritto Derrick De Kerckhove, "minaccia la sacrosanta autonomia che abbiamo acquisito grazie al leggere e allo scrivere".
Infine la maggiore fruibilità della televisione non richiede la costruzione di un contesto fisico o psicologico adatto come avviene per la lettura di un libro o la visione di un film al cinema. È raro che uno sceneggiato chiami lo spettatore a quell’intervento massiccio a cui il libro invita il lettore grazie agli ‘spazi vuoti’ che lascia nella lettura. Il contesto specifico si può creare, ma non è parte necessaria della fruizione. Questo però fa capire come la televisione tenda a esplicare quella funzione affabulatoria che soddisfa il bisogno di narrazione proprio di ogni essere umano. Per questo motivo è stata persino definita central story teller system. Si può tuttavia rintracciare il rituale del ritorno puntuale della trasmissione nel palinsesto televisivo: si tratta di una precisa funzione liminale inserita nel pieno contesto della vita quotidiana (Turner Victor W.).
Non bisogna dimenticare comunque che la comunicazione che viene realizzata per televisione deve spesso presentare il materiale in forma di racconto e con personaggi concreti, cioè deve presentarsi in forma narrativa. Il telegiornale, ad esempio, può essere considerato un sottogenere di narrazione storiografica. Fiske ha notato come nei programmi della televisione sono presenti sia le funzioni fondamentali sia i tipi di personaggi che Vladimir Propp ha individuato in ogni racconto popolare. In questo contesto si dà una vicinanza tra libro e televisione, tra cultura televisiva e cultura letteraria (Fiske, 1987).
Altro argomento da discutere sarebbe la ricaduta della capacità rappresentativa del mezzo televisivo sull’ immaginario degli scrittori. In America nel 1985 Bret E. Ellis scriveva il romanzo Less than zero con tutto il ritmo e il linguaggio di MTV. In Italia Aldo Nove cerca di ‘scrivere televisivamente’ e così ha pubblicato un libro intriso di paccottiglia televisiva a ritmo di zapping (Woobinda, 1996): è abbastanza facile ritrovare libri trash che fanno riferimento a questo o quel mito televisivo o a questo o quel tipo di programma. Troviamo anche libri come Talk show (1996) di Luca Doninelli, nei quali emerge una ribellione alla possibilità che la narrativa possa essere contaminata positivamente dalla televisione che è "puro orrore che non ha fondo".
Rimane aperto anche il capitolo che riguarda la presenza dell’informazione e del dibattito critico intorno ai libri sugli schermi televisivi. Si tratta di un argomento che vede gli studiosi analizzare programmi come Uomini e libri, Chi legge?, Libri per tutti, L’Approdo Tv, Tuttilibri, Settimo giorno, Mixercultura, Una sera un libro, Babele, alla ricerca della formula più efficace (Grasso, 1993).

5. Letteratura e radio

Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta la radio raggiunse una diffusione che la mise in grado di concorrere con la stampa. È questo il periodo nel quale scrittori e pensatori come Pirandello, Trilussa, Grazia Deledda, Bertholt Brecht videro nella radio nuove possibilità per la diffusione della cultura e nacquero i radiodrammi, testi di spessore letterario scritti appositamente per essere letti e diffusi via radio. Il radiodramma si collega alla tradizione del racconto orale, ma impegna l’autore a far interagire la parola, attraverso il montaggio, con le musiche, i suoni e i rumori.
La BBC vanta forse la più ampia tradizione mondiale nel campo della drammatica radiofonica. La prima opera scritta appositamente per la radio da essa diffusa il 15 gennaio 1924, fu Pericolo di Richard Hugues. Questa tradizione, accuratamente seguita, ha fatto del dramma radiofonico un vero servizio pubblico. La prima opera in assoluto, però, venne trasmessa il 3 agosto 1922 negli USA dalla stazione W.G.Y.: La lente di E. Walter. Il 30 ottobre 1938 Orson Welles, direttore di una serie di programmi di fiction per la CBS, mise in onda il radiodramma La guerra dei mondi: uno dei massimi esempi dell’impatto che il mezzo radiofonico può avere sul pubblico.
Dagli anni Trenta si diffuse anche la recitazione di poesie alla radio e si comprese subito come la suggestione della poesia sposa bene quella della radio, che richiede attenzione al ritmo della recitazione, all’oratoria, all’alternanza di musica e silenzio.
In Italia il primo concorso, bandito nel 1927 dall’Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (EIAR) per la composizione di radiodrammi, non ebbe alcun esito. Al secondo, bandito due anni dopo, partecipò solo Luigi Chiarinelli con Anello di Teodosio. Sempre nel 1929 il futurista Filippo Tommaso Marinetti declamò Il bombardamento di Adrianopoli. Altri autori italiani scrissero radiodrammi di qualità (Bontempelli, La Capria, Arpino, Volponi...), ma prevalsero di fatto le ‘riduzioni radiofoniche’ (come nel 1933 Le mie prigioni di Silvio Pellico) o la messa in onda di opere teatrali.
La radio è un mezzo di comunicazione in grado non solo di interagire con il teatro e la poesia, ma anche di dare una vita nuova al libro di narrativa attraverso le letture integrali o parziali. Al piacere della lettura solitaria viene così a sostituirsi il piacere del racconto a cui si è spesso abituati, grazie alle favole, sin da piccoli e che poi viene a perdersi col tempo.
Non agendo sullo spazio, ma solo sul tempo, la radio si trova vicina all’opera testuale. Anzi, mentre il linguaggio scritto apre la percezione solo attraverso le parole, legate alla continuità e alla successione della stampa, il linguaggio della radio può invece offrire la sovrapposizione, la contemporaneità, il mixaggio di contenuti diversi. In tal modo è in grado di esprimere efficacemente la contemporaneità propria della sintesi interiore.
Sappiamo come i grandi racconti dell’antichità, l’epica, la Bibbia nascono spesso dall’oralità, da tradizioni orali poi sedimentate in scritture redazionali. Il bisogno di ascoltare storie caratterizza l’uomo. La radio ha innanzitutto il grande potere – poi resosi anche autonomo nella forma dell’audio-libro attraverso registrazioni in cassette e compact-disc – di trasformare un testo narrativo in un racconto orale. Questo implica innanzitutto il non trovarsi di fronte a un oggetto (il libro), il non poter scegliere il momento e il contesto adatto per la lettura, la frammentazione di un testo in ‘puntate’ e il non poter ripercorrerlo per ulteriori letture di paragrafi o frasi non ben compresi o particolarmente graditi. L’operazione culturale che la radio ha compiuto, sempre con successo, consiste tuttavia proprio nel benefico recupero della narrazione da ascoltare.
Attraverso la radio, come ha affermato lo scrittore Riccardo Bacchelli, la voce riprende molto del suo valore di comunicazione, volta a "destare l’intelligenza del pensiero e a colorire e scaldare gli affetti delle parole espresse" ed è capace di "restituire le virtù spirituali della parola, sì del pensiero e sì della poesia".
Il grado di intensità e capacità di coinvolgimento della radio non deriva solo dalla sola diffusione della voce, ma dall’espressività stessa della voce diffusa. La radio deve dischiudere la realtà dell’immaginario attraverso percezioni che non valgono per sé, ma per la loro capacità evocativa, cioè gli ‘analoghi percettivi’, che in questo caso sono la musica, i suoni e le parole. L’evocatività del testo può essere sottolineata da sottofondi musicali o può essere indirizzata dal lettore professionista, e ciò di fatto consiste in una esecuzione interpretativa del testo letterario (Musica e comunicazione; Suono; Rumore).
Se la lettura orale di un testo scritto o di una sceneggiatura è il principale livello di intersezione tra radio e libro, possiamo trovarne senza dubbio altri. Esistono, ad esempio, programmi del palinsesto di alcune radio interamente dedicati al libro. È da ricordare, per ciò che riguarda l’Italia, innanzitutto L’Approdo, avviato da Adriano Seroni nel dicembre del 1945: programma culturale di forte valore morale e intellettuale del periodo immediatamente successivo alla liberazione, visse fino al 1978. La trasmissione si riconosceva non come semplice programma informativo, ma vera e propria Rivista di Letteratura ed Arti con il compito di "stimolare e orientare l’attenzione dei propri ascoltatori" e accompagnare gli eventi culturali con "letture originali di narrativa, di poesia e di saggistica, letture d’invenzione e di interpretazione" (C. Betocchi). La trasmissione fu persino in grado di generare una rivista cartacea, L’Approdo letterario, e dal 1963 una trasmissione televisiva, L’Approdo Tv: una vera e propria operazione multimediale ante litteram. In tempi più recenti programmi come Lampi di Rai Radio Tre hanno occupato ampi spazi del palinsesto quotidiano con la discussione e presentazione di temi culturali mediati attraverso la presentazione di attività legate all’editoria, alla letteratura e alla critica.
Altro livello di interazione tra radio e letteratura consiste nella ricaduta dell’ascolto radio sulla composizione di opere letterarie. Molti giovani autori italiani, ad esempio, ammettono di scrivere con la radio accesa. Da notare, ad esempio, i testi dello scrittore Pier Vittorio Tondelli contrassegnati dal titolo Radio on. Umberto Eco in Apocalittici e Integrati (1964) ci ricorda che la radio, fin dall’inizio, ha avuto la funzione di trasmettere a distanza musica e da quando la musica è diffusa in modo massivo da radio, televisione e strumenti di riproduzione analogica o digitale, poesia, romanzo e musica si sono spesso incontrati sulla pagina scritta. Ai tempi di Lou Reed, di Patty Smith e di Bob Dylan il bisogno assoluto e struggente di poesia dei giovani è stato soddisfatto mandando a memoria parole e strofe di canzoni, dalle ballate pop ai testi del rock: l’immagine del poeta romantico con il relativo bagaglio tragico del conflitto tra arte e vita, tra immaginazione e quotidianità, sopravvive nei ‘poeti rock’. Negli anni Sessanta e Settanta gli scrittori – da Calvino a Moravia, da Parise a Pasolini – si occupavano di musica. Poeti come Roberto Roversi hanno affiancato cantautori come Lucio Dalla nella composizione di album musicali. Di recente però, al contrario, alcuni cantanti e cantautori hanno cominciato a scrivere. Sembra che il bisogno di musica conduca per strani sentieri al desiderio della parola scritta, di note non sonore, ma certamente vibranti, dove il ritmo è dato dalle sillabe e dalle virgole.

6. Letteratura e Internet

Si discute se Internet sia o meno un mezzo di comunicazione sociale. La risposta, ovviamente, può esser data sulla base della definizione dei media che si fa propria. La metafora che descrive Internet come una gigantesca biblioteca descrive bene la realtà della rete: in Internet è possibile dunque diffondere testi in modo semplice, rapido e fruibile dovunque nel mondo. Nessuna pubblicazione cartacea offre la stessa capillarità di diffusione, con tempi di pubblicazione così rapidi e a costi che possono essere relativamente irrisori. Ciò ha permesso di immettere nella rete quantità enormi di testi. È possibile già accedere liberamente a biblioteche elettroniche, dove sono presenti centinaia di testi in formato digitale comodamente scaricabili sul proprio computer di casa. È possibile consultare riviste scientifiche che spesso riportano online estratti dei loro contenuti, se non articoli interi.
La Rete è un oceano prevalentemente testuale e la letteratura ha trovato in essa un luogo di presenza e di espressione. Oltre alle biblioteche e alle librerie è possibile trovare riviste e siti di argomento letterario. In particolare assistiamo al fenomeno della costruzione di siti, luoghi virtuali, dove sono pubblicati, non su carta – dunque – ma in modo digitale, testi narrativi, poetici e interventi critici: riviste, progetti, archivi cartacei, video e radiofonici (interviste a scrittori e critici, letture di testi...). In Rete è anche possibile trovare molte risorse di lavoro relative al campo letterario ed editoriale. La presenza di siti letterari, e ancor più quella di riviste periodiche di narrativa, solleva delle questioni da valutare con attenzione.
La prima questione riguarda il senso del costruire o allocare un testo di creatività letteraria in Internet. Si può riflettere sul fatto che a volte lo schermo sia solo un sostituto del supporto cartaceo. In questo caso i siti ‘usano’ la Rete e non ‘vivono’ in essa, entrando nella sua logica. Così la forma ipertestuale di Internet diventa un diverso modo per dire e fare la stessa cosa che si fa con la carta. L’ipertesto è spesso solo un altro supporto tecnologico per la trasmissione degli stessi testi, cioè un nuovo oggetto ‘simile’ al libro. In realtà occorrerebbe approfondire ciò che appare invece essere la costruzione di un nuovo genere, che potremmo definire ‘architettonico’, di scrittura che implica l’ideare, il progettare e il realizzare strutture testuali, le pagine, organizzate in un ambiente che non le compone una dietro l’altra come in un libro, ma le collega tra loro come i fili di una ragnatela.
Una seconda questione riguarda il fatto che l’immissione di materiali in un ambiente che non ha un supporto fisico stabile pone il problema della permanenza di questi testi digitali, della loro attendibilità filologica e della loro citabilità. La ‘materialità elettronica’ di un’opera fa sì che essa possa diventare volatile, transitoria, sempre modificabile o cancellabile perché esiste ‘virtualmente’ e potrebbe non apparire più all’indirizzo alla quale era reperibile fino a poco tempo prima. Può insomma essere letta e poi sparire o essere modificata e scomposta irrimediabilmente o ancora può essere citata o riutilizzata senza alcuna certezza legata al copyright e al diritto d’autore (Diritto e comunicazione. B. Diritto d’autore). Un romanzo, ad esempio, può vivere un giorno o può essere riprodotto e modificato all’infinito.
Altre questioni riguardano il processo segnato dalle tappe di scrittura, pubblicazione e lettura di un testo collocato in ambiente digitale. Questo processo assume connotazioni nuove innanzitutto riguardo alle modalità di scrittura al computer o al modo di combinare parole, immagini e suoni in ipertesti. Nei siti Internet si ha una strettissima relazione tra testo e immagine: il libro si vede e si sfoglia, il sito Internet si vede e al suo interno si può navigare, facendo riferimento a metafore visive e a simboli (‘icone’). Tutto ciò amplifica il significato delle scelte che per la carta definiremmo ‘tipografiche’. Un testo letterario in Internet può includere in sé, grazie a delle estensioni dei programmi di navigazione (plugs-in), musica, immagini, animazioni, sfondi grafici,... sviluppando una letteratura che potremmo definire in qualche modo plurisensoriale.
Ma Internet può far giungere a mettere in crisi il concetto stesso di autore. La costruzione di ‘iper-romanzi’ in un sistema interattivo genera una confusione di ruoli tra autore e lettore perché chi legge un romanzo in costruzione, può integrare a suo gusto il testo stesso, aggiungendo a esso delle parti. Accanto a tutte le perplessità che una novità del genere suscita, ci si chiede quale sia lo sviluppo della condizione intersoggettiva del sapere scientifico che le nuove tecnologie stanno mettendo in atto. Si può dire per l’ arte o almeno per la narrazione la stessa cosa che si può dire per il sapere scientifico? Com’è possibile mantenere una coerenza? Quando è possibile definire un’opera ‘opera’? Chi sarebbe l’autore? I ragionamenti di Italo Calvino che nel suo articolo del 1968 Cibernetica e fantasmi (Calvino, 1995) scriveva sulla narrativa come "processo combinatorio" e sulla dissoluzione dell’io dell’autore nel processo della scrittura è di grande attualità, come lo è l’idea della "scrittura collettiva" di cui parlava don Lorenzo Milani
Altra questione riguarda di conseguenza il processo della ‘lettura’ che può non essere più lineare in sequenza grafica – cioè parola dopo parola e rigo dopo rigo – ma segnata da collegamenti interni (Link) che restituiscono un testo senza un inizio né una fine, ma solo con un’entrata e un’uscita. Un sito letterario in rete è chiamato a decidere se offrire percorsi di lettura abbastanza rigidi (rubriche, percorsi ...) o lasciare la ‘navigazione’ del tutto a briglie sciolte.
Infine il processo della pubblicazione subisce un profondo cambiamento interno. Stampare un libro implica passaggi complessi, selettivi e lunghi, oppure, nel caso di pubblicazione in proprio, di costi spesso onerosi. In Internet, al contrario, si ha un facile ed economico accesso alla produzione e alla fruizione. Un testo può essere letto sullo schermo del computer, stampato su carta o scaricato dalla rete anche nel formato tipografico di un libro grazie alla tecnologia detta ‘PDF’ (‘Formato di Documento Portatile’). C’è una linea editoriale (Print on demand) in rapida evoluzione che permette la pubblicazione o la ristampa di un vecchio volume a basso costo, anche in poche copie. Una rivista può divenire una sorta di ‘messaggio in bottiglia’ lanciato nell’oceano della rete, portando al superamento della marginalità da parte di espressioni subalterne (riviste, progetti, iniziative...) ai sistemi editoriali e socioculturali, ma anche un superamento delle distanze, delle lingue e dei problemi distributivi: un libro prodotto in Giappone può essere stampato agilmente in Italia e viceversa.
La valutazione di una attività creativo-letteraria in rete appare così segnata dal fatto che la sua vita in rete debba essere intesa non solo come occasionale e strumentale, ma costitutiva, che miri cioè a sviluppare proposte mediate grazie alle potenzialità espressive proprie di Internet.

Bibliografia

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Note

Come citare questa voce
Spadaro Antonio , Letteratura e comunicazione sociale, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (09/10/2024).
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