Radio D. Teoria
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- Bibliografia20
- Voci correlate
Autore: Andrés Patuelli
INDICE
1. La tradizione di ricerca strutturalista
1.1. L’efficacia comunicativa 1.2. Continuum sonoro e segn 1.3. Il linguaggio radiofonico e la sua specificità2. La tradizione di ricerca pragmatista
2.1. Influenza della produzione sul testo 2.2. Contratto d’ascolto 2.3. Generi discorsivi 2.4. Struttura temporale del palinsesto 2.5. L’ideologia nel discorso 2.6. Il discorso orale
Tra i mezzi di comunicazione di massa la r. è quello meno studiato, non solo nell’ambito delle scienze della comunicazione, ma anche nella ricerca accademica in generale. Questa povertà sarebbe la conseguenza di una sottovalutazione del valore culturale dei generi discorsivi che più hanno caratterizzato la radiodiffusione lungo la sua storia, vale a dire, quelli associati al divertimento, all’educazione e all’informazione. Questo pregiudizio culturale si applica anche alla musica popolare. Infatti, sebbene una grande parte della programmazione radiofonica sia costituita da testi musicali, nessuna delle teorie oggi esistenti nella communication research, nella musicologia e nella semiotica riesce a spiegarli in modo adeguato (Gronow, 1987).
La scarsa attenzione dei ricercatori si manifesta anche nei confronti dell’aspetto sonoro del discorso linguistico. I modelli d’analisi del testo oggi disponibili sono stati creati pensando ai discorsi scritti, stampati, senza considerare i fenomeni ‘soprasegmentali’. Molto meno studiati ancora risultano gli altri codici sonori presenti nei testi radiofonici, quali gli effetti sonori, i rumori e il silenzio.
La situazione prima descritta fa parte, in realtà, di una carenza che tocca l’insieme dello studio delle forme di comunicazione che hanno un supporto sonoro. Si veda a questo proposito la scarsa attenzione ricevuta dai fenomeni sovrasegmentali nell’ambito nella linguistica, dalla musica all’interno della semiotica e dalla componente sonora (voci, rumori, musica) nella semiotica degli audiovisivi. Si veda anche la ridotta considerazione riservata alla cassetta e al compact disc (CD) come mezzi di comunicazione sociale (Gronow, 1987).
Le teorie comunicative che stanno alla base degli studi strutturalisti sono quella ‘informazionale’ di Shannon e Weaver e quella ‘semiotico-informazionale’ di Eco. Tali teorie concepiscono la comunicazione, sostanzialmente, come il trasferimento di un messaggio dall’emittente agli ascoltatori, in un percorso progressivo dove le uniche difficoltà previste sono il rumore o l’equivoco (la ‘decodifica aberrante’), che, sebbene costringano a delle interruzioni e riformulazioni, non sono capaci tuttavia di alterare la linearità del processo.
Si deve anche considerare che il senso in gioco è presente prima dei concreti scambi comunicativi. Esso sarebbe trasmesso mediante i segni costitutivi del messaggio e ricuperato dal pubblico ascoltatore a partire dai codici ai quali questi segni appartengono. L’insieme di questi codici è definito come ‘linguaggio radiofonico’.
In questo contesto, il rumore non è inteso soltanto come interferenza elettromagnetica o altre difficoltà legate alla trasmissione tecnologica ma, soprattutto, come insufficienze pragmatiche del messaggio, sia a livello semantico (dovute ad es. all’utilizzazione di concetti troppo complessi), sia a livello sintattico (derivate dall’organizzare il messaggio in modo monotono).
1.1. L’efficacia comunicativa. Gli interessi degli strutturalisti nei confronti del processo comunicativo radiofonico nel suo insieme riguardano, anzitutto, l’individuazione delle fonti di rumore (nella codificazione e nella ricezione del messaggio) e delle risorse espressive e comunicative disponibili, riassunte nel concetto di ‘linguaggio radiofonico’. In secondo luogo, si riferiscono all’elaborazione di un insieme di norme definite qualche volta come costituenti una ‘grammatica’ radiofonica (Balsebre, 1994) affinché l’emittente utilizzi tali risorse nel migliore dei modi possibili, anticipando gli ostacoli che il messaggio potrebbe trovare nel suo percorso; perché sia, cioè, efficace nel trasferimento dell’informazione.
1.2. Continuum sonoro e segni. Lo studio dei rapporti tra il segno e il codice, cui esso appartiene, costituisce il secondo grande ambito di studio nella tradizione strutturalista, quello della significazione. In questo contesto, il continuum sonoro dell’emissione radiofonica è studiato come se fosse costituito da una catena di segni. I modelli di segno utilizzati sono quello di Saussure e quello di Peirce.
Da questo punto di vista, le domande più importanti che gli strutturalisti formulano riguardano l’individuazione delle caratteristiche comuni a tutti i segni radiofonici, l’elaborazione di tipologie segniche e la ricerca di teorie semantiche alternative a quella della linguistica, capaci cioè di spiegare il rapporto di significazione (tra l’espressione e il contenuto) esistente negli altri codici del linguaggio radiofonico: il silenzio, la musica, i rumori e gli elementi sovrasegmentali del discorso verbale. Le teorie semantiche più utilizzate sono quella della psicologia sperimentale e quella del fonosimbolismo (Musica e comunicazione).
1.3. Il linguaggio radiofonico e la sua specificità. La comunicazione è possibile quando esiste un codice comune; nel caso della r. il linguaggio condiviso da emittente e ascoltatori è quello radiofonico, costituito da codici specifici (o sotto-codici) che sono la lingua con i suoi elementi sovrasegmentali, la musica, i rumori, gli effetti sonori e il silenzio.
Gli strutturalisti sostengono che ciascuno di questi codici possiede un certo campo di possibilità espressive, ma che il sistema ‘forte’, il sistema portante del linguaggio radiofonico è il codice linguistico. Gli altri sarebbero invece sistemi più deboli, che nel funzionamento generale della comunicazione restano dipendenti dal sistema verbale.
Dal punto di vista metodologico, l’originalità del linguaggio radiofonico è analizzata soprattutto attraverso il concetto di funzione linguistica. Scopo dello studio è individuare quali sono le proprietà del mezzo e del linguaggio radiofonico, che consentono all’emittente di compiere attività comunicative come quelle segnalate dal modello jakobsoniano (Jakobson). Tra le funzioni quella che riceve maggiore attenzione da parte dei ricercatori è quella referenziale o rappresentativa, perché è la funzione che consente alla comunicazione di rinviare a un contenuto o di ‘rappresentare’ un oggetto. Per mezzo della r., infatti, si riesce a ‘mostrare il mondo’ e questo contraddice la teoria che affida alla visione un ruolo epistemologico decisivo per conoscere la realtà: "possiamo ascoltare, odorare o toccare un oggetto, ma solo quando lo vediamo abbiamo l’impressione di ‘conoscerlo’ veramente" (Crisell, 1986).
L’attenzione si sposta allora dal linguaggio al messaggio, ridefinito mediante il concetto di testo. In questa prospettiva, l’unità empirica della significazione non è il segno nei suoi rapporti con il codice, bensì il testo nei suoi rapporti con il contesto, costituenti entrambi la situazione comunicativa. Così inteso, il testo è analizzabile a più livelli: quelli dei codici costituenti, della rappresentazione, della narrazione e della comunicazione, o quelli della sensatezza (semantica), della coerenza (sintattica) e dell’adeguatezza (Pragmatica). Tra i nuovi concetti sorti in questo contesto esplicativo della comunicazione si trovano quello di strategia, di progetto e di contratto comunicativo.
2.1. Influenza della produzione sul testo. I rapporti esistenti tra testo e contesto nella situazione comunicativa radiofonica sono studiati a diversi livelli, a partire dalla programmazione, sulla quale influiscono fattori interni (la proprietà, la tecnologia disponibile, il grado di autonomia) ed esterni all’istituzione radiofonica (l’ audience a cui la r. si rivolge, il comportamento della concorrenza, la pubblicità e il contesto sociale e politico). Oggi esistono tre grandi formati di produzione radiofonica: la radio convenzionale, detta ‘di programmi’ o ‘generalista’, la radio ‘di flusso’ e la radio specializzata (Martí Martí, 1990).
2.2. Contratto d’ascolto. Per ragioni storiche in alcuni paesi, come in America Latina il formato convenzionale è praticato da emittenti che trasmettono in AM, mentre il formato di flusso è caratteristico, invece, delle radio FM (Onde elettromagnetiche). Alcune ricerche hanno studiato le differenze esistenti tra questi due gruppi identificando il ‘contratto enunciativo’ o ‘contratto d’ascolto’ proposto dai loro testi. In questo tipo d’analisi si rilevano, tra altri aspetti, l’immagine dell’emittente presente a livello simbolico nel testo, quella dell’ascoltatore a cui egli si rivolge e il tipo di relazione tra questi due proposta dal testo (Fouquier-Verón, 1997; Bentolila, 1986).
2.3. Generi discorsivi. Legata alla preoccupazione per il palinsesto si trova quella riferita ai generi discorsivi che lo conformano e alla struttura temporale che esso possiede. Nella tradizione strutturalista i generi sono, sostanzialmente, oggetto di classificazioni elaborate in base al predominio di un aspetto immanente al programma, quali il contenuto, la funzione comunicativa o la struttura narratologica. Nella prospettiva pragmatista, gli interessi riguardanti quest’argomento sono invece più variegati. Il cammino più seguito è quello di definire le influenze del contesto sui testi e, così, si costruiscono delle tipologie in base alla funzione comunicativa predominante o in quanto atti linguistici, o si studiano le modificazioni che su queste classificazioni canoniche sono introdotte dall’uso del telefono nelle trasmissioni (Simonelli-Taggi, 1985).
Si dà il caso, però, di chi percorre il cammino nel senso opposto: Roeh (1982) distingue due grandi generi informativi (il primo caratterizzato da un atteggiamento critico rispetto al mondo, il secondo ‘ingenuo’, caratterizzato invece da un atteggiamento conformista) e sostiene che le prescrizioni estetiche derivate dal sistema di regole linguistiche proprie di questi due grandi generi possiedono un grado tale di autonomia rispetto alle pressioni esterne (di tipo politico, etico-professionale e organizzativo) da determinare perfino la stessa selezione del materiale informativo: la forma discorsiva utilizzata potrebbe determinare il contenuto.
2.4. Struttura temporale del palinsesto. La preoccupazione per le concrete condizioni di fruizione del testo portano a studiare la dimensione spazio-temporale dell’enunciazione. Così, sono esaminate le conseguenze che sulla produzione di senso sorgono dal rapporto tra il tempo del testo (della fabula o della superficie significante) e quello dell’ascolto. Da questo punto di vista, Mouillaud (1984) nota, per esempio, che le pratiche comunicative radiofoniche e televisive odierne possiedono una struttura temporale ‘di flusso’, organizzato in sequenze che si ripetono e che accompagnano in continuazione la segmentazione del tempo degli ascoltatori. Questa struttura temporale ciclica si oppone o tende a opporsi alla formazione di opere, che sono invece espressione caratteristica della cultura ‘non popolare’, caratterizzate da un tempo lineare e irreversibile (Radio. C. Linguaggio e generi radiofonici).
2.5. L’ideologia nel discorso. L’interesse per l’individualizzazione del punto di vista ideologico del soggetto enunciatore rispetto all’oggetto della comunicazione è abbastanza comune nella tradizione pragmatista. Alla base di queste ricerche si trovano due ipotesi fondamentali: la ‘teoria critica’, condivisa dalla quasi totalità dei ricercatori, secondo la quale i mezzi di comunicazione sono strumenti al servizio dei gruppi sociali egemoni nella società (Hernández, 1989), e il modello di segno di Peirce, che sottolinea il rapporto indiretto esistente tra la realtà e il discorso, in quanto mediato dalla struttura cognitiva del produttore del discorso.
In questo contesto Zelizer (1993), ad esempio, studia la funzione svolta dalla nozione di spazio nei notiziari radiofonici e osserva che essa non è utilizzata come semplice indice ‘oggettivo’ dei luoghi dove accadono i fatti, ma soprattutto come metonimia di concezioni culturali e ideologiche (citando come esempio i diversi significati dei termini "Stato di Israele", "la Terra di Israele" o "Giudea" che, tuttavia, si riferiscono alla stessa porzione di territorio).
2.6. Il discorso orale. Esiste, infine, l’interesse per individuare i presupposti che stanno alla base delle pratiche comunicative radiofoniche prestando una particolare attenzione al discorso verbale. Si tratta di un approccio pragmatico, secondo il quale la logica delle strategie messe in moto dall’enunciatore, che regolano sia il rapporto dell’enunciato con il mondo rappresentato (la dimensione semantica), sia l’organizzazione sintattica del testo, si può capire solo se si considera che l’enunciatore ha prodotto tali testi seguendo criteri d’adeguatezza contestuale.
I tipi di discorso studiati sono due: da una parte, il monologo del conduttore, sostanzialmente dal punto di vista dell’organizzazione sintattica o narrativa sottostante all’ enunciato (Montgomery, 1986); dall’altra, le conversazioni, sia le interviste in studio sia i dialoghi telefonici con gli ascoltatori. Le basi ‘ontologiche’ di questo gruppo di ricerca si trovano, anzitutto, in quell’ambito della pragmatica conosciuto come analisi della conversazione, ma anche nella sociolinguistica e nella teoria narratologica greimasiana.
Alcuni dei fattori studiati sono le regole implicite che guidano l’interazione, le costrizioni degli aspetti materiali del mezzo e della situazione comunicativa radiofonica sull’enunciazione e i segmenti o unità che compongono lo scambio (Simonelli - Taggi, 1985).
La scarsa attenzione dei ricercatori si manifesta anche nei confronti dell’aspetto sonoro del discorso linguistico. I modelli d’analisi del testo oggi disponibili sono stati creati pensando ai discorsi scritti, stampati, senza considerare i fenomeni ‘soprasegmentali’. Molto meno studiati ancora risultano gli altri codici sonori presenti nei testi radiofonici, quali gli effetti sonori, i rumori e il silenzio.
La situazione prima descritta fa parte, in realtà, di una carenza che tocca l’insieme dello studio delle forme di comunicazione che hanno un supporto sonoro. Si veda a questo proposito la scarsa attenzione ricevuta dai fenomeni sovrasegmentali nell’ambito nella linguistica, dalla musica all’interno della semiotica e dalla componente sonora (voci, rumori, musica) nella semiotica degli audiovisivi. Si veda anche la ridotta considerazione riservata alla cassetta e al compact disc (CD) come mezzi di comunicazione sociale (Gronow, 1987).
1. La tradizione di ricerca strutturalista
Tra le principali teorie della comunicazione radiofonica, sostanzialmente legate al punto di vista semiotico, è possibile distinguere due grandi tradizioni di ricerca: quella ‘strutturalista’, con cui si studia la radio soprattutto a partire dagli anni Settanta, e quella ‘pragmatista’, presente dagli anni Ottanta in poi.Le teorie comunicative che stanno alla base degli studi strutturalisti sono quella ‘informazionale’ di Shannon e Weaver e quella ‘semiotico-informazionale’ di Eco. Tali teorie concepiscono la comunicazione, sostanzialmente, come il trasferimento di un messaggio dall’emittente agli ascoltatori, in un percorso progressivo dove le uniche difficoltà previste sono il rumore o l’equivoco (la ‘decodifica aberrante’), che, sebbene costringano a delle interruzioni e riformulazioni, non sono capaci tuttavia di alterare la linearità del processo.
Si deve anche considerare che il senso in gioco è presente prima dei concreti scambi comunicativi. Esso sarebbe trasmesso mediante i segni costitutivi del messaggio e ricuperato dal pubblico ascoltatore a partire dai codici ai quali questi segni appartengono. L’insieme di questi codici è definito come ‘linguaggio radiofonico’.
In questo contesto, il rumore non è inteso soltanto come interferenza elettromagnetica o altre difficoltà legate alla trasmissione tecnologica ma, soprattutto, come insufficienze pragmatiche del messaggio, sia a livello semantico (dovute ad es. all’utilizzazione di concetti troppo complessi), sia a livello sintattico (derivate dall’organizzare il messaggio in modo monotono).
1.1. L’efficacia comunicativa. Gli interessi degli strutturalisti nei confronti del processo comunicativo radiofonico nel suo insieme riguardano, anzitutto, l’individuazione delle fonti di rumore (nella codificazione e nella ricezione del messaggio) e delle risorse espressive e comunicative disponibili, riassunte nel concetto di ‘linguaggio radiofonico’. In secondo luogo, si riferiscono all’elaborazione di un insieme di norme definite qualche volta come costituenti una ‘grammatica’ radiofonica (Balsebre, 1994) affinché l’emittente utilizzi tali risorse nel migliore dei modi possibili, anticipando gli ostacoli che il messaggio potrebbe trovare nel suo percorso; perché sia, cioè, efficace nel trasferimento dell’informazione.
1.2. Continuum sonoro e segni. Lo studio dei rapporti tra il segno e il codice, cui esso appartiene, costituisce il secondo grande ambito di studio nella tradizione strutturalista, quello della significazione. In questo contesto, il continuum sonoro dell’emissione radiofonica è studiato come se fosse costituito da una catena di segni. I modelli di segno utilizzati sono quello di Saussure e quello di Peirce.
Da questo punto di vista, le domande più importanti che gli strutturalisti formulano riguardano l’individuazione delle caratteristiche comuni a tutti i segni radiofonici, l’elaborazione di tipologie segniche e la ricerca di teorie semantiche alternative a quella della linguistica, capaci cioè di spiegare il rapporto di significazione (tra l’espressione e il contenuto) esistente negli altri codici del linguaggio radiofonico: il silenzio, la musica, i rumori e gli elementi sovrasegmentali del discorso verbale. Le teorie semantiche più utilizzate sono quella della psicologia sperimentale e quella del fonosimbolismo (Musica e comunicazione).
1.3. Il linguaggio radiofonico e la sua specificità. La comunicazione è possibile quando esiste un codice comune; nel caso della r. il linguaggio condiviso da emittente e ascoltatori è quello radiofonico, costituito da codici specifici (o sotto-codici) che sono la lingua con i suoi elementi sovrasegmentali, la musica, i rumori, gli effetti sonori e il silenzio.
Gli strutturalisti sostengono che ciascuno di questi codici possiede un certo campo di possibilità espressive, ma che il sistema ‘forte’, il sistema portante del linguaggio radiofonico è il codice linguistico. Gli altri sarebbero invece sistemi più deboli, che nel funzionamento generale della comunicazione restano dipendenti dal sistema verbale.
Dal punto di vista metodologico, l’originalità del linguaggio radiofonico è analizzata soprattutto attraverso il concetto di funzione linguistica. Scopo dello studio è individuare quali sono le proprietà del mezzo e del linguaggio radiofonico, che consentono all’emittente di compiere attività comunicative come quelle segnalate dal modello jakobsoniano (Jakobson). Tra le funzioni quella che riceve maggiore attenzione da parte dei ricercatori è quella referenziale o rappresentativa, perché è la funzione che consente alla comunicazione di rinviare a un contenuto o di ‘rappresentare’ un oggetto. Per mezzo della r., infatti, si riesce a ‘mostrare il mondo’ e questo contraddice la teoria che affida alla visione un ruolo epistemologico decisivo per conoscere la realtà: "possiamo ascoltare, odorare o toccare un oggetto, ma solo quando lo vediamo abbiamo l’impressione di ‘conoscerlo’ veramente" (Crisell, 1986).
2. La tradizione di ricerca pragmatista
La tradizione semiotica strutturalista, come si è visto, concepisce la comunicazione radiofonica come un processo lineare e il messaggio come un contenitore di segni sonori prodotti da un emittente e interpretati dagli ascoltatori a partire da un codice comune, il linguaggio radiofonico. La tradizione pragmatista, invece, concepisce la comunicazione come produzione di senso, un processo complesso che si attua attraverso il ‘dialogo’ o la negoziazione tra gli interlocutori, secondo tracce riscontrabili anche all’interno del messaggio.L’attenzione si sposta allora dal linguaggio al messaggio, ridefinito mediante il concetto di testo. In questa prospettiva, l’unità empirica della significazione non è il segno nei suoi rapporti con il codice, bensì il testo nei suoi rapporti con il contesto, costituenti entrambi la situazione comunicativa. Così inteso, il testo è analizzabile a più livelli: quelli dei codici costituenti, della rappresentazione, della narrazione e della comunicazione, o quelli della sensatezza (semantica), della coerenza (sintattica) e dell’adeguatezza (Pragmatica). Tra i nuovi concetti sorti in questo contesto esplicativo della comunicazione si trovano quello di strategia, di progetto e di contratto comunicativo.
2.1. Influenza della produzione sul testo. I rapporti esistenti tra testo e contesto nella situazione comunicativa radiofonica sono studiati a diversi livelli, a partire dalla programmazione, sulla quale influiscono fattori interni (la proprietà, la tecnologia disponibile, il grado di autonomia) ed esterni all’istituzione radiofonica (l’ audience a cui la r. si rivolge, il comportamento della concorrenza, la pubblicità e il contesto sociale e politico). Oggi esistono tre grandi formati di produzione radiofonica: la radio convenzionale, detta ‘di programmi’ o ‘generalista’, la radio ‘di flusso’ e la radio specializzata (Martí Martí, 1990).
2.2. Contratto d’ascolto. Per ragioni storiche in alcuni paesi, come in America Latina il formato convenzionale è praticato da emittenti che trasmettono in AM, mentre il formato di flusso è caratteristico, invece, delle radio FM (Onde elettromagnetiche). Alcune ricerche hanno studiato le differenze esistenti tra questi due gruppi identificando il ‘contratto enunciativo’ o ‘contratto d’ascolto’ proposto dai loro testi. In questo tipo d’analisi si rilevano, tra altri aspetti, l’immagine dell’emittente presente a livello simbolico nel testo, quella dell’ascoltatore a cui egli si rivolge e il tipo di relazione tra questi due proposta dal testo (Fouquier-Verón, 1997; Bentolila, 1986).
2.3. Generi discorsivi. Legata alla preoccupazione per il palinsesto si trova quella riferita ai generi discorsivi che lo conformano e alla struttura temporale che esso possiede. Nella tradizione strutturalista i generi sono, sostanzialmente, oggetto di classificazioni elaborate in base al predominio di un aspetto immanente al programma, quali il contenuto, la funzione comunicativa o la struttura narratologica. Nella prospettiva pragmatista, gli interessi riguardanti quest’argomento sono invece più variegati. Il cammino più seguito è quello di definire le influenze del contesto sui testi e, così, si costruiscono delle tipologie in base alla funzione comunicativa predominante o in quanto atti linguistici, o si studiano le modificazioni che su queste classificazioni canoniche sono introdotte dall’uso del telefono nelle trasmissioni (Simonelli-Taggi, 1985).
Si dà il caso, però, di chi percorre il cammino nel senso opposto: Roeh (1982) distingue due grandi generi informativi (il primo caratterizzato da un atteggiamento critico rispetto al mondo, il secondo ‘ingenuo’, caratterizzato invece da un atteggiamento conformista) e sostiene che le prescrizioni estetiche derivate dal sistema di regole linguistiche proprie di questi due grandi generi possiedono un grado tale di autonomia rispetto alle pressioni esterne (di tipo politico, etico-professionale e organizzativo) da determinare perfino la stessa selezione del materiale informativo: la forma discorsiva utilizzata potrebbe determinare il contenuto.
2.4. Struttura temporale del palinsesto. La preoccupazione per le concrete condizioni di fruizione del testo portano a studiare la dimensione spazio-temporale dell’enunciazione. Così, sono esaminate le conseguenze che sulla produzione di senso sorgono dal rapporto tra il tempo del testo (della fabula o della superficie significante) e quello dell’ascolto. Da questo punto di vista, Mouillaud (1984) nota, per esempio, che le pratiche comunicative radiofoniche e televisive odierne possiedono una struttura temporale ‘di flusso’, organizzato in sequenze che si ripetono e che accompagnano in continuazione la segmentazione del tempo degli ascoltatori. Questa struttura temporale ciclica si oppone o tende a opporsi alla formazione di opere, che sono invece espressione caratteristica della cultura ‘non popolare’, caratterizzate da un tempo lineare e irreversibile (Radio. C. Linguaggio e generi radiofonici).
2.5. L’ideologia nel discorso. L’interesse per l’individualizzazione del punto di vista ideologico del soggetto enunciatore rispetto all’oggetto della comunicazione è abbastanza comune nella tradizione pragmatista. Alla base di queste ricerche si trovano due ipotesi fondamentali: la ‘teoria critica’, condivisa dalla quasi totalità dei ricercatori, secondo la quale i mezzi di comunicazione sono strumenti al servizio dei gruppi sociali egemoni nella società (Hernández, 1989), e il modello di segno di Peirce, che sottolinea il rapporto indiretto esistente tra la realtà e il discorso, in quanto mediato dalla struttura cognitiva del produttore del discorso.
In questo contesto Zelizer (1993), ad esempio, studia la funzione svolta dalla nozione di spazio nei notiziari radiofonici e osserva che essa non è utilizzata come semplice indice ‘oggettivo’ dei luoghi dove accadono i fatti, ma soprattutto come metonimia di concezioni culturali e ideologiche (citando come esempio i diversi significati dei termini "Stato di Israele", "la Terra di Israele" o "Giudea" che, tuttavia, si riferiscono alla stessa porzione di territorio).
2.6. Il discorso orale. Esiste, infine, l’interesse per individuare i presupposti che stanno alla base delle pratiche comunicative radiofoniche prestando una particolare attenzione al discorso verbale. Si tratta di un approccio pragmatico, secondo il quale la logica delle strategie messe in moto dall’enunciatore, che regolano sia il rapporto dell’enunciato con il mondo rappresentato (la dimensione semantica), sia l’organizzazione sintattica del testo, si può capire solo se si considera che l’enunciatore ha prodotto tali testi seguendo criteri d’adeguatezza contestuale.
I tipi di discorso studiati sono due: da una parte, il monologo del conduttore, sostanzialmente dal punto di vista dell’organizzazione sintattica o narrativa sottostante all’ enunciato (Montgomery, 1986); dall’altra, le conversazioni, sia le interviste in studio sia i dialoghi telefonici con gli ascoltatori. Le basi ‘ontologiche’ di questo gruppo di ricerca si trovano, anzitutto, in quell’ambito della pragmatica conosciuto come analisi della conversazione, ma anche nella sociolinguistica e nella teoria narratologica greimasiana.
Alcuni dei fattori studiati sono le regole implicite che guidano l’interazione, le costrizioni degli aspetti materiali del mezzo e della situazione comunicativa radiofonica sull’enunciazione e i segmenti o unità che compongono lo scambio (Simonelli - Taggi, 1985).
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Bibliografia
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Patuelli Andrés , Radio - D. Teoria, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (03/11/2024).
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