Scienze del linguaggio verbale

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In questi ultimi decenni si è assistito a un crescente interesse nei riguardi del fenomeno comunicativo-linguistico e a un aumento dei punti di vista da cui considerarlo. La varietà, complessità e ricchezza del fenomeno linguistico ha fatto sì che il fenomeno non fosse completamente esaminabile da un solo punto di vista. Le diverse prospettive, sebbene abbiano un ambito e una metodologia di ricerca propri, non sono da considerarsi contrapposte, ma complementari.

1. Prospettiva linguistica

Il primo approccio scientifico moderno che si è sviluppato in diverse correnti e scuole, è stato la linguistica. F. de Saussure, il padre della linguistica moderna, definisce la lingua come un sistema di segni adoperato per la comunicazione. Da questo punto di vista la lingua è definita come un sistema organizzato di elementi il cui significato e valore sono espressi dalla relazione esistente tra loro (strutturalismo linguistico). Con il termine "sistema", de Saussure sottolinea il carattere oggettivo, coerente e sopraindividuale della lingua; con l’espressione "adoperato per la comunicazione", esprime il carattere soggettivo che ogni lingua possiede. È soprattutto del sistema di segni che si occupa la linguistica, anche se nel concreto è difficile separare il sistema di segni dall’uso individuale che se ne fa. Una lingua, afferma de Saussure, in quanto strumento di comunicazione, può essere paragonata alla funzione della moneta nell’interscambio. Come la moneta, la lingua può essere considerata ‘qualcosa’ (i ‘suoni’) con un ‘valore’ convenzionale e arbitrario (il ‘significato’). Questi due aspetti costituiscono anche due livelli secondo i quali una lingua può essere considerata. I segni-significanti costituiscono la forma, i segni-significati costituiscono la sostanza di una lingua. Il primo aspetto si è sviluppato soprattutto come grammatica, il secondo come semantica. Compito della linguistica è stato quello di scoprire il tipo di relazione tra gli elementi, individuabili a diversi livelli: suoni, parole, frasi. Il sistema suoni è venuto definendosi come un campo d’indagine chiamato ‘fonologia’. Questo ambito analizza la lingua in base alla funzione che i suoni esercitano nella comunicazione. Il sistema parola è studiato dalla lessicologia, mentre il sistema che regola la relazione fra le diverse parole è oggetto della ‘sintassi’.
Dopo de Saussure si sono sviluppate molte scuole: come il funzionalismo (Martinet, Jakobson), la scuola di Praga, il distribuzionalismo (Bloomfield), la linguistica generativa (Chomsky).

2. Prospettiva sociolinguistica e pragmatico-linguistica

Anche se le sue radici affondano nei primi decenni del secolo, la sociolinguistica, intesa come studio della lingua in uno specifico contesto sociale, ha preso avvio negli anni Sessanta. Al suo affermarsi contribuirono sia alcune critiche alla linguistica, come ad esempio quella di aver trascurato di prendere in considerazione le variabili storico-sociali, sia le analisi e le osservazioni di natura linguistica derivate dall’antropologia culturale. La presupposizione fondamentale della sociolinguistica è il rifiuto di considerare la lingua come un’entità astratta al di fuori dell’ambiente e del concreto uso del gruppo sociale. Per essa lo studio della lingua consiste nell’esame della sua evoluzione storica e delle sue variazioni in rapporto ai cambiamenti del contesto sociale (ad esempio, sesso, attività, classe sociale dei parlanti) o comunicativo.
Un particolare settore della sociolinguistica è la ‘pragmatica linguistica’ o ‘pragmalinguistica’. Dare una definizione di questa area di ricerca non è semplice. Levinson ad esempio, discutendo l’ambito della pragmatica, introduce ben 15, definizioni. Concludendo la sua analisi afferma: "Le più promettenti sono le definizioni che fanno equivalere la pragmatica al ‘significato meno la semantica’, ovvero a una teoria della comprensione della lingua che prenda in considerazione il contesto e si ponga così come complementare rispetto al contributo che dà la semantica al significato. Se davvero si vuole sapere di che cosa ci si occupa in un campo particolare, si deve osservare che cosa fa chi lavora in quel campo" (Levinson, 1985). Nonostante la genericità della definizione, si può dire che la pragmatica linguistica esamina ancora il testo in se stesso, sebbene il contesto o la situazione in cui esso viene enunciato sia chiave essenziale di interpretazione del suo uso e del suo significato. Temi e problemi centrali d’indagine sono "gli atti linguistici"che i comunicanti si scambiano tra loro (Austin, 1962; Searle, 1983); le "presupposizioni", intese come le condizioni o pre-condizioni che permettono che una frase possa essere espressa (Ducrot, 1972); "l’implicazione conversazionale", ovvero il non-detto in una comunicazione linguistica; la "situazione conversazionale" (Goffman); le "caratteristiche fondamentali del linguaggio" (Grice, 1994).

3. Prospettiva semiotica

Un ultimo approccio da prendere in considerazione è quello semiologico o semiotico. Come scienza interessata al linguaggio o al processo comunicativo la semiotica ha avuto il suo punto di partenza nell’analisi del segno di de Saussure e ulteriori sviluppi negli Stati Uniti e in Francia. Senza ulteriori specificazioni, sottolineiamo soltanto che prescinde dai processi mentali di produzione e comprensione e si dedica soprattutto all’analisi del testo linguistico in se stesso.

4. Prospettive psicologiche o psicolinguistiche

Vi sono altri orientamenti di ricerca che non indagano la dimensione oggettiva del testo linguistico, ma sono interessati allo studio della dimensione soggettiva dei comunicanti. Lungo questa linea, alcuni esplorano la struttura inconscia che una comunicazione esprime o il tipo di relazione interpersonale che una certa conversazione rivela, altri si preoccupano di scoprire come la mente agisce nel produrre o nel comprendere un messaggio linguistico. Questo approccio, che sposta l’attenzione all’interno del soggetto produttore o recettore dello stimolo linguistico, può essere genericamente definito ‘psicolinguistico’. Accenniamo solo ad alcune prospettive più significative.
C’è la prospettiva clinica o psicanalitica, in cui il linguaggio viene colto e analizzato con l’intento di scoprirvi le strutture del sé, dell’esperienza inconscia, del vissuto emotivo, dell’individualità personale. La comunicazione linguistica è assunta nella sua funzione informativa e comunicativa interpersonale, solo nella forma altamente selettiva del dialogo del paziente con lo psicoterapeuta. In questo caso, parlare è esprimere il proprio vissuto possibilmente senza controlli e censure, alle volte anche senza controlli sintattici o testuali e nella libera associazione. La comprensione è una ‘interpretazione’ del terapeuta, che ‘seleziona’ gli elementi significativi e ‘costruisce’ una sua coerenza interpretativa. Un esempio classico può essere la ‘comprensione’ che Freud aveva di quanto dicevano i suoi pazienti, ma si potrebbe anche ricordare come Jung sostenesse di poter ritrovare nel linguaggio e nella parola umana degli archetipi collettivi originari.
Su una linea analoga può dirsi la corrente psicologica che va sotto il nome di scuola di Palo Alto o pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick), per la quale l’interesse dell’analisi linguistica è scoprire il tipo di relazione normale o patologica che intercorre tra i comunicanti e individuare, eventualmente, le vie terapeutiche di una nevrosi relazionale.
Molto vicina alla precedenti può essere considerata la prospettiva dell’analisi transazionale, affermatasi soprattutto come teoria della personalità e del comportamento sociale. Sviluppata in ambito psicoterapico da E. Berne (1972), attribuisce particolare valore agli scambi comunicativi, prevalentemente di tipo non verbale, considerati come transazioni dei vari ‘stati dell’Io’ (Genitore, Adulto e Bambino) tra una persona e l’altra (Stewart & Joines, 2000).
Nella storia dello sviluppo della ricerca linguistica emerge, accanto a un progressivo perfezionamento delle metodologie di analisi, anche l’insoddisfazione di ciascuna scienza per l’incapacità di poter cogliere da sola tutta la complessità del fenomeno linguistico.

5. Una lettura diacronica

Le varie scienze del linguaggio, cui sopra si è accennato, potrebbero infatti anche essere lette in senso diacronico, cioè come progressivo tentativo di superamento dei limiti che ciascuna presentava. Dalla linguistica, intesa come sistema di elementi minimi di significato, si arrivò alla consapevolezza di non poter definire il senso di una parola se non collocandola ‘dentro la frase’. Chomsky definì la frase: elemento minimo di significato. Ma dopo di lui si vide come anche questo fosse un limite troppo angusto per capire il significato di una frase: era necessario collocare la frase ‘dentro un testo’. Si giunse così alla grammatica testuale e all’analisi del discorso. Questi confini, tuttavia, non hanno risolto tutti i problemi dell’analisi di un testo linguistico, perché ci si accorse che i testi potevano essere compresi solo riferendosi al contesto sociale o alla situazione particolare in cui essi venivano prodotti.
Ma, anche quando tutto questo fu definito e compreso dal linguista, dal sociolinguista o dal pragmatico-linguista, rimaneva ancora da sapere se colui che produceva o comprendeva lo stimolo linguistico agiva ‘realmente’ come il linguista o il pragmatico linguista ipotizzava analizzando il testo linguistico. Ciò non poteva evidentemente essere affermato se non si fosse cominciato a ricercare e ad analizzare come ‘concretamente agisce’ il soggetto (sia come produttore che come recettore). Per sapere questo era necessario introdurre nell’analisi linguistica il punto di vista psicologico.
All’inizio l’ipotesi psicologica più plausibile sembrò essere la sintassi, e precisamente la grammatica generativa di Chomsky che si dava per innata e universale. La mente agiva decodificando la frase secondo precise regole sintattiche. Alcune ricerche sembrarono convalidare questa ipotesi (Fodor & Garrett, 1966), ma poi sorsero il dubbio (Fodor, 1971), la crisi e il rifiuto: la sintassi non era una descrizione sufficiente dei processi decodificatori.
Rimaneva, tuttavia, l’esigenza di capire i ‘processi reali’ di comprensione e di produzione linguistica. Lentamente si sviluppò un dialogo tra l’analisi del linguaggio (linguistica e pragmatica linguistica) e la psicologia, che ha contribuito in modo fruttuoso sia all’autonomia della pragmatica linguistica sia alla definizione dell’oggetto-stimolo su cui verificare i processi psicologici.
La ‘psicolinguistica cognitivista’ si è sviluppata però anche grazie alla concomitante crisi del comportamentismo, all’apporto di Piaget e alla nascita dell’intelligenza artificiale. Quanto al comportamentismo, la crisi fu fondamentalmente dovuta all’assunto della impossibilità di indagare la mente, considerata una black box, che non si poteva illuminare (Comportamentismo). In particolare, la posizione comportamentista sul linguaggio, oltre a essere troppo semplicistica, ricevette una critica spietata dallo stesso Chomsky (1959). Alla crisi del comportamentismo contribuì indirettamente la diffusione delle idee di Piaget che, all’opposto, offriva una spiegazione e un possibile punto di partenza per cominciare ad analizzare i processi mentali.
Tuttavia il contributo fondamentale all’affermazione della psicologia e della psicolinguistica cognitivista fu lo sviluppo dell’indagine sperimentale e dell’intelligenza artificiale. Attraverso l’adozione di un nuovo ‘paradigma’ (Kuhn, 1970), lentamente si diffuse un nuovo modello generale di intelligenza, denominata "memoria" (memory), vista come centro dove si svolgono processi, si organizzano strategie, si risolvono problemi, si controllano attività e risultati.

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Note

Come citare questa voce
Comoglio Mario , Scienze del linguaggio verbale, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (18/04/2024).
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