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Nomenclatura di un carattere di stampa

1. Premessa

Il c.d.s., o c. tipografico, o semplicemente c., inteso come l’insieme dei segni grafici alfabetici componibili per formare parole, è stato inventato intorno al 1450 da Johann Gutenberg a Magonza.
L’invenzione è stata talmente importante che generalmente viene confusa con l’invenzione della stampa. In realtà si stampava già da molti secoli: tessuti, carte da gioco, immagini sacre, anche brevi testi. Si trattava di un tipo di stampa definita tabellare o xilografica, in quanto la forma di stampa era costituita da un blocco di legno, inciso in modo da lasciare in rilievo l’immagine speculare di quanto si voleva stampare. La forma veniva inchiostrata e premuta contro il supporto da stampare (Xilografia). Con una simile forma era molto scomodo e lungo stampare un libro anche di poche pagine, perché ogni pagina doveva essere incisa ad hoc, non potendosi riutilizzare le lettere delle pagine già stampate.
L’invenzione dei c. mobili di Gutenberg, quindi, è una pietra miliare nella comunicazione: essa rappresenta l’inizio della stampa libraria: un evento talmente importante ai fini della divulgazione del sapere che molti storici fanno coincidere con esso l’inizio dell’era moderna.
Dopo l’invenzione della scrittura ideografica (circa 3000 a.C.) e della scrittura alfabetica (circa 1000 a.C.), la stampa ha rappresentato il più importante mezzo di comunicazione di massa. Essa ha contribuito in maniera determinante alla diffusione della conoscenza e della cultura.

2. Struttura della lettera alfabetica

La lettera alfabetica è costituita fondamentalmente da due tipi di elementi: le aste e le grazie. Le ‘aste’ sono gli elementi essenziali nella struttura della lettera; possono essere rette, curve, spezzate, miste. Le ‘grazie’ sono i tratti terminali di abbellimento, molto utili ai fini della leggibilità, ma non essenziali ai fini dell’individuazione del segno, tant’è che i c. facenti parte di un particolare stile definito lineare ne sono privi.
I c. sono disegnati come racchiusi entro quattro linee di costruzione:


I rapporti tra gli spazi racchiusi entro le quattro linee non sono fissi, ma cambiano a seconda dello stile del c. Vi sono c. che hanno le ascendenti e le discendenti più accentuate, a scapito dell’altezza mediana, e viceversa. Quindi, a parità di corpo, l’altezza mediana non è necessariamente la stessa. Data l’importanza ai fini della leggibilità dell’altezza mediana, questo fatto va tenuto presente quando si sceglie il corpo di un c. È ovvio che la maggiore o minore lunghezza delle ascendenti e delle discendenti in¾uenzerà a sua volta la scelta dell’interlinea, ossia dello spazio tra linea e linea.

3. Terminologia essenziale relativa al c.d.s. e alla composizione

Alta e bassa cassa: è una terminologia derivante dalla composizione tipografica manuale. Il termine alta cassa indica un c. maiuscolo, perché le lettere maiuscole erano contenute nei cassettini della parte alta della cassa tipografica; un c. di bassa cassa è un c. minuscolo. La simbologia A/b indica che la composizione deve essere eseguita in minuscolo con iniziale maiuscola.
Altezza mediana o altezza delle ‘x’: dimensione verticale della lettera minuscola senza ascendenti e discendenti. Un c. può presentare questa dimensione più o meno sviluppata a seconda del suo stile.
Avvicinamento: è il piccolissimo spazio esistente tra l’estremità laterale del c. e la linea ideale che ne identifica lo spessore. È detto anche accostamento. È il bianco ottico che mantiene separati i singoli c. della composizione; quindi un bianco funzionale necessario al facile riconoscimento del segno. Nei software di composizione esiste una funzione, normalmente indicata con il termine inglese tracking, che consente di modificare tutti i valori di avvicinamento, aumentandoli o diminuendoli; è una funzione molto delicata e pericolosa, che deve essere utilizzata raramente e con molta cautela, perché può compromettere gravemente la leggibilità, in quanto il valore di avvicinamento è stato attentamente studiato dal disegnatore del c. per ottimizzare appunto la leggibilità. Osservando una composizione stampata il valore di bianco esistente tra due lettere contigue sarà la somma dei due avvicinamenti.
Corpo: è la grandezza verticale complessiva del c., cioè la distanza tra le due linee estreme entro le quali sono inscritte le lettere, più un piccolo spazio; questo piccolo spazio, detto anche spalla, è l’equivalente dell’avvicinamento tra le lettere, ossia è lo spazio necessario alla distinzione del segno, cioè a evitare il contatto tra le ascendenti e le discendenti in due linee consecutive sterlineate (Sterlineatura). L’unità di misura del corpo, come si vedrà più avanti, è il punto tipografico. Parità di corpo non significa parità di grandezza visiva. Infatti un c. può apparire più grande o più piccolo di un altro di pari corpo, a seconda dello sviluppo dell’altezza mediana o altezza delle ‘x’ rispetto alle ascendenti e discendenti. La variazione di corpo è un mezzo impiegato dal grafico per evidenziare e subordinare le parti del testo.
Corsivo (italic, in inglese): variazione seriale di un determinato c., consistente in una leggera inclinazione verso destra, che imita il movimento della scrittura manuale. Da non confondere con i c. calligrafici o c. scrittura.
Famiglia stilistica: è l’insieme di tutte le variazioni derivate da una ‘serie base’ di un determinato c. Tali variazioni possono riguardare il tono (chiarissimo, chiaro, medio o normale, neretto, nero, nerissimo), la larghezza (dallo strettissimo al larghissimo), l’inclinazione (tondo e corsivo), l’ornamentazione (filettato, ombreggiato, ecc.), definite come variazioni seriali del c. stesso.
Esempio: la famiglia del Garamond, del Times, dell’Helvetica.
Giustezza: è la lunghezza della linea di composizione; può essere espressa in diverse unità di misura, normalmente in righe tipografiche e punti, oppure in millimetri. Giustificazione, composizione giustificata: la giustificazione è l’operazione, oggi eseguita dal computer, per mezzo della quale tutte le righe vengono portate alla medesima larghezza, cioè allineate sia all’inizio che alla fine. Per ottenere ciò viene fatto variare lo spazio tra le parole entro un limite minimo e massimo e, quando questo limite non può essere rispettato, si ricorre alla divisione sillabica delle parole.
Interlinea: spazio aggiuntivo tra le linee di composizione. Questo valore viene inserito tra le linee quando il bianco ottico della ‘spalla’ non è sufficiente a garantire una buona leggibilità della composizione. La determinazione del giusto valore di interlinea dipende soprattutto dall’altezza mediana del c. e dalla giustezza di composizione. La simbologia, per esempio, 11/13, sta a indicare un c. di corpo 11 con due punti supplementari di interlinea.
Maiuscoletto: alfabeto maiuscolo inscritto nell’altezza mediana del minuscolo. Non tutte le polizze dispongono del maiuscoletto.

Tavola 1

Polizza (font, in inglese): è il set, il complesso dei segni grafici, alfabetici e paralfabetici, costituenti una collezione tipografica completa, disponibili per la composizione. Costituiscono la polizza: le lettere alfabetiche maiuscole e minuscole, l’eventuale maiuscoletto, i numeri, i segni di punteggiatura, i segni diacritici (per l’accentazione), i segni speciali o simboli necessari per particolari utilizzazioni (vedi tavola a fianco).
Serie: una singola variazione di una famiglia stilistica, un alfabeto appartenente a una famiglia dalla quale trae le caratteristiche strutturali, ma che si caratterizza nel disegno per tono, larghezza, inclinazione, ornamentazione, ecc.; per esempio: Times chiaro tondo, Times nero, Times corsivo, Helvetica stretto nero. In altre parole, i tratti peculiari di un alfabeto rimangono costanti o simili nelle variazioni seriali della stessa famiglia; ciò che cambia è l’intensità, l’inclinazione delle lettere, il tono o spessore di asta, la larghezza delle lettere, l’ornamentazione.
Spaziatura: è lo spazio bianco tra una parola e l’altra. Nella composizione giustificata tale spazio, tra le diverse linee di composizione, è variabile entro un limite minimo e uno massimo. Se invece la composizione è a bandiera la spaziatura rimane costante.
Spazieggiatura: l’aggiunta di spazio tra le lettere delle parole di una composizione. In pratica corrisponde a un aumento del valore di avvicinamento. Può essere impiegata per risolvere dei problemi di giustificazione, soprattutto nelle composizioni multicolonna, oppure nelle titolazioni con lettere maiuscole.
Spessore dell’asta o tono: è lo spessore o larghezza dell’asta di un determinato c.; determina il valore di tonalità o ‘nerezza’ delle lettere di un alfabeto: chiarissimo, chiaro, neretto, nero, nerissimo.

4. Cenni di tipometria

La metrica tipografica, o tipometria, è l’insieme delle grandezze che permettono la misurazione della composizione tipografica e che consentono di dare a questa un assetto geometrico determinato in precedenza.
Fin verso la metà del 1700 le dimensioni dei c. e dell’altro materiale di composizione erano arbitrarie, perché ciascun tipografo provvedeva personalmente alla fabbricazione dei propri c. In seguito però la possibilità di poter acquistare e scambiare i c. rese evidente la necessità di adottare un sistema di misura universale. Il sistema metrico decimale non esisteva ancora. Perciò, soprattutto per iniziativa del francese Francesco Ambrogio Didot, si adottò la 864ª parte di una grandezza legale esistente in Francia, il ‘pied du roi’, che venne chiamata punto. Ancor oggi la tipometria si fonda sul sistema duodecimale di Didot, così chiamato perché il rapporto tra l’unità base, il punto, e il suo multiplo, la riga, è di 1 a 12.
In Europa (eccetto l’Inghilterra) si usa il punto Didot, unificato in 0,376 mm; la riga, detta anche cicero, corrisponde a 4,512 mm. Nei Paesi anglofoni si usa il punto angloamericano di 0,352 mm e la riga pica, corrispondente a 4,233 mm.

I c. vengono misurati in punti. Quando, per esempio, si dice che un c. è di corpo 11, si intende che la sua grandezza è pari a 0,376 x 11 = 4,136 mm.
Per misurare la giustezza di composizione invece, essendo molto grande, si usa la riga. Per esempio, una composizione di giustezza 26 righe cicero ha una lunghezza di 4,512 x 26 = 117,312 mm, cioè di circa 11,7 cm. Mentre ancor oggi la grandezza dei c. è sempre espressa in punti, la ‘gabbia’, ossia la lunghezza e l’altezza della pagina, è normalmente misurata in centimetri e millimetri.

5. Classificazione stilistica e funzionale dei c.d.s.

Quando ci si imbatte in un fenomeno complesso che si vuole capire e spiegare, si ricorre alla classificazione, ossia al raggruppamento per elementi omogenei. Ciò vale anche per i c.d.s.
Le classificazioni proposte sono molte, oltre una decina; tra le più importanti citiamo la classificazione tedesca DIN, quella decimale del tipologo Giuseppe Pellitteri, quella di Aldo Novarese, ecc.; ciascuna segue una sua logica e ha aspetti positivi e svantaggi. Tra tutte queste seguiremo quella che giudichiamo la più chiara e funzionale dal punto di vista didattico. Si tratta della classificazione proposta dal tipologo svizzero Jan Tschichold intorno al 1950. È questa una classificazione storico-stilistica, che permette quindi di compendiare, unitamente alle caratteristiche di forma dei c., anche un loro inquadramento storico. Permette cioè di analizzare il c. non solo come segno, ma come segno che cambia nelle varie epoche, e così di comprendere, anche se sommariamente, i motivi di questi c0ambiamenti, riferiti a una società, a un periodo storico, a un pensiero estetico, alla logica di impiego del c. stesso.
La classificazione Tschichold è una classificazione parziale, in quanto si interessa solo dei c. impiegati per il testo corrente. Per questo motivo abbiamo voluto completarla, introducendo anche due tipologie di c. extratesto.
La classificazione prevede cinque grandi gruppi: romani, egiziani, lineari, scritture e fantasie-ibridi. I primi tre sono a loro volta suddivisi ciascuno in tre sottogruppi (vedi tavola n. 2)
C. romani. Sono suddivisi in tre sottogruppi: romani antichi, romani di transizione e romani moderni.
C. egiziani. I primi c. egiziani apparvero all’inizio del XIX secolo. Devono il loro nome alla mania che dominava in quel tempo in Europa per tutto ciò che riguardava l’Egitto, a seguito della campagna napoleonica e delle prime scoperte sulla civiltà egizia. Sono c. quasi sempre di tono molto pesante, creati appositamente per un nuovo tipo di utilizzazione: la pubblicità e la cartellonistica in genere. Comprendono tre sottogruppi: geometrici, classici e italiani.
C. lineari. I c. lineari sono c. senza grazie. Sono apparsi agli inizi del 1800, più o meno contemporaneamente agli egiziani. Fu però intorno agli inizi del 1900 che iniziarono ad avere una vasta diffusione e utilizzazione, che dura tuttora. Ciò dipende, oltre che dall’esigenza di disporre per gli stampati moderni di c. semplici ed essenziali, di forte tonalità, anche dalla loro sintonia di forma con l’architettura e il design del nostro secolo. I c. lineari sono suddivisibili in tre sottogruppi: geometrici, classici e grotteschi. Pur avendo una certa uniformità di caratteristiche grafico-formali, tuttavia è solo l’assenza di grazie il motivo che accomuna queste tre tipologie, le quali rivelano talune pronunciate differenze.
C. scrittura. Sono i c. il cui disegno è ispirato o deriva direttamente dalle calligrafie manuali o dalle lettere manoscritte dei secoli precedenti l’invenzione dei c. mobili. La caratteristica peculiare di questi alfabeti è quella della spontaneità e dell’assenza di regole geometriche nella tracciatura, dall’irregolarità del tratto, dalla variazione d’inclinazione.
C. fantasia-ibridi. È una categoria vastissima, che raccoglie tutti quei c. non collocabili nei gruppi precedenti. Qui troviamo quindi accomunati c. con caratteristiche diversissime e addirittura opposte: da quelli ultradecorati a quelli ultrageometrici ed essenziali, da quelli di toni chiarissimi a quelli nerissimi, da quelli sproporzionati in senso orizzontale a quelli sproporzionati in senso verticale, da quelli la cui tracciatura risente dell’irregolarità tipica del disegno manuale a quelli costruiti per trame di punti o per tratti accostati.

Tavola 2 - Classificazione dei caratteri

6. Scelta del c.d.s. in funzione dello stampato

Tutti i c. presentano, in misura differente, due particolari proprietà dipendenti dal loro disegno formale:
a) leggibilità, intendendo con questo termine la capacità che ha una determinata composizione di consentire una lettura confortevole, prolungata nel tempo, senza produrre affaticamenti eccessivi per il lettore;
b) visibilità o ‘potenzialità visiva’, impatto; cioè ogni c. ha una propria capacità espressiva, dovuta al ‘modo’ con cui è tracciato il suo disegno, e un proprio ‘peso’, una propria ‘macchia’ anche in senso ottico.
Difficilmente uno stesso c. presenta in misura notevole entrambe queste proprietà.
Normalmente i c. più indicati per la composizione corrente di lunghi testi sono soprattutto leggibili, ma meno appariscenti, meno accattivanti, attraggono in grado minore l’attenzione del lettore; per contro, c. di forme inusuali, inconsuete o particolari, o c. più scuri come macchia, svolgono ottimamente la funzione di attirare l’attenzione, ma poco si prestano per le lunghe letture.
Si possono così individuare c. più adatti alla composizione dei testi, altri più indicati per stampati dove la funzione visiva e l’esigenza di evidenziare è più importante e dove il testo è relativamente contenuto per quantità (titolazione, manifesti, pubblicità in genere, copertine, ecc.).
Esiste un altro aspetto del disegno formale dei c. che va considerato; la forma del disegno di un c. ha una sua capacità espressiva, è in grado cioè di trasmettere sensazioni diverse e richiamare, attraverso l’immaginazione, immagini, cose, oggetti, stili, stati d’animo. La forma delle aste e delle grazie trascende talvolta il significato della parola (contenuto del testo), per cui la scelta di un c. piuttosto di un altro può rivelarsi come una scelta di stile dello stampato. Un testo, attraverso la scelta del c., può essere interpretato in diversi modi; il grafico, attraverso la scelta del c., dovrà rispettare lo stile del contenuto e non contrapporvisi. Non è azzardato considerare che, in modo indipendente dalla leggibilità ottica, il c. riesce a trasmettere al lettore reazioni positive o negative rispetto al contenuto stesso e quindi contribuisce in modo determinante alla maggiore o minore riuscita della trasmissione del messaggio stampato.
Non è possibile quindi definire in modo assoluto un c. come buono o non buono, in quanto un tale giudizio dipende dal contesto in cui esso viene usato. I c. usati per la composizione corrente rispondono a criteri formali diversi da quelli impiegati per motivi decorativi o di visibilità (richiamo pubblicitario); inoltre il tutto va considerato alla luce del contenuto (dell’argomento) dello stampato stesso.
In sintesi: la scelta del c. editoriale, per quanto si riferisce sia allo stile sia alla grandezza, deve tenere conto soprattutto:
a) del genere di contenuto dell’opera: i c. romani, per la loro armonia e leggibilità, sono quelli che si adattano alla maggior parte delle situazioni; tra questi, i romani di transizione (ad es. Times, Baskerville) sono i più indicati per opere la cui lettura si prolunga nel tempo, in situazione di concentrazione: cioè i testi di studio e di saggistica in generale; mentre i romani antichi sono preferiti per opere letterarie e romanzesche in genere;
b) dell’età e della scolarità del lettore: per i bambini tra i 6 e i 13 anni o per i lettori con scolarità molto bassa si usano corpi compresi tra il 24 e il 14; mentre per un pubblico di lettori adulti i corpi più largamente usati sono il 10, l’11 e il 12, eventualmente con ulteriori gradazioni frazionarie intermedie;
c) della giustezza di composizione: per la confortevolezza della lettura, il rapporto ottimale giustezza-corpo è quello che comprende circa 60 lettere e spazi (‘battute’, si dicono in gergo); se la giustezza è troppo corta e/o il corpo troppo grande divengono troppo frequenti gli impulsi nervosi provocati dall’andare a capo per incominciare una nuova linea: la lettura diviene incalzante, nervosa, col risultato, a lungo andare, di stancare il lettore; se la giustezza è troppo lunga e/o il corpo troppo piccolo diviene più penoso, andando a capo, cercare la linea successiva: la lettura diviene meno stimolante, lenta e tediosa;
d) del procedimento di stampa e del tipo di carta: la rotocalco, per esempio, riproduce male il c., quindi sarà preferibile, per i lavori che devono essere stampati con questo procedimento, usare c. semplici, di facile riproducibilità, come i lineari o gli egiziani classici. Da questo punto di vista è avvantaggiata la offset, perché ha un’eccellente capacità di riproduzione del c., anche su carte ruvide.

Bibliografia

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Molinari Mario , Carattere da stampa, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (19/04/2024).
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