Majors

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Il famoso leone della Metro Goldwin Mayer
Dizione con la quale sono conosciute alcune case di produzione cinematografica americane che, per il ruolo importante svolto all’interno del mercato internazionale, sono state denominate come ‘maggiori’ (majors, appunto) rispetto ad altre che, pur agendo nel medesimo contesto industriale, tuttavia non avevano lo stesso peso e le medesime potenzialità economiche.
Le ragioni della nascita e dello sviluppo di una simile tipologia di carattere prettamente industriale, rinvenibile soprattutto nel periodo di massimo fulgore della Hollywood classica (quello compreso tra la fine degli anni Venti e gli anni Cinquanta) vanno ricercate in alcuni elementi contingenti, dai quali non sono estranei eventi di ordine storico, economico e sociologico; eventi verificatisi prevalentemente durante la fine del primo decennio del secolo appena concluso. Di fatto, dopo una prima fase artigianale, legata al cinema delle origini, la produzione d’oltreoceano ben presto si trasforma in un’industria, completa di tutti i caratteri propri di un tale settore dell’economia.
Lo scoppio della prima guerra mondiale e il conseguente blocco produttivo che investe tutti i Paesi europei coinvolti nel conflitto non possono non interessare anche il cinema. Così, se fino a metà degli anni Dieci, alcune tra le cinematografie europee sono dominanti sul mercato internazionale, la crisi produttiva provocata dalla guerra gioca tutta a favore del cinema americano che, in questo modo, ha la possibilità di svilupparsi e di consolidare le proprie strutture, modellandole – in maniera razionale e programmata – su parametri produttivi tesi a considerare il cinema al pari di qualsiasi altro investimento commerciale. L’attività in questo settore, quindi, si trasforma essenzialmente in un’industria come tante altre: come quella dell’automobile o dei prodotti di largo consumo; le leggi che regolano il suo sviluppo e la sua stessa esistenza hanno, in una rigida economia di mercato, la piattaforma naturale per nascere e crescere, oppure morire. In questo contesto e grazie anche all’affluenza di notevoli quantità di capitali di provenienza più diversa, si afferma quello che in economia si chiama processo di concentrazione verticale: un modello industriale, cioè, che controlla, a monte, il prodotto in tutte le sue fasi. Applicato al cinema, tale modello praticamente porta a far conglobare nelle stesse mani la produzione, la distribuzione e l’esercizio. In altri termini, chi produce un film, chi lo fa circolare e chi possiede le sale cinematografiche per veicolarlo presso il grosso pubblico sono le medesime persone o lo stesso gruppo industriale. Non a caso, molti dei fondatori delle m. sono, in partenza, dei proprietari di sale, i quali, a un certo punto e in nome del puro business, intendono impadronirsi – attraverso alleanze, fusioni commerciali e concentrazioni di capitali – dell’intero processo produttivo dell’opera cinematografica. Tale ferrea organizzazione mercantile, ben presto, dà origine a una situazione di oligopolio: poche case cinematografiche americane, nel giro di qualche anno, avranno nelle loro mani il 70% della produzione mondiale e il 90% di quella statunitense. Parlando di questa occupazione dei mercati internazionali da parte americana, iniziata alla fine degli anni Dieci, e sottolineando come la forza fondante di tale conquista risieda, in primo luogo, nella sua organizzata struttura industriale, uno storico come René Prédal (1996) dice testualmente che "Hollywood vampirizza l’Europa", imponendo attraverso i suoi prodotti anche una sorta di colonialismo culturale e un modello di cinema destinati a durare per decenni. Parlare, quindi, delle m. e della loro politica produttiva vuol dire analizzare uno dei capitoli più importanti di tutta la storia del cinema.
Un altro carattere che accomuna la struttura industriale di queste case è quello della standardizzazione: i film vengono pensati, costruiti e realizzati seguendo dei modelli produttivi che coinvolgono generi, strutture narrative, uso della tecnica, maestranze, tutti allineati secondo un prodotto-tipo – uno standard, appunto – caratteristico e riconoscibile per ciascuna di esse. Allo stesso modo, il marchio di fabbrica può essere individuato nella presenza costante di alcuni attori, registi e sceneggiatori, i quali vengono regolarmente messi sotto contratto per almeno un anno – ma la prassi più seguita è quella del settennio – creando uno star system e uno studio system, propri di quella Hollywood definita da un regista decisamente controcorrente come Erich von Stroheim come "una fabbrica di salsicce". La conseguenza pratica di una simile impostazione mercantile è quella di privilegiare la figura del produttore rispetto a quella del regista: il producer è più importante del director: è quello che controlla fino in fondo tutto l’iter realizzativo di un film, dalla sceneggiatura al montaggio; le regole che egli impone non ammettono deroghe, né tengono nella considerazione dovuta la libertà creativa dell’autore, sempre subordinata alla presenza della star di turno.
Le cosiddette m. sono cinque (le ‘big five’, come erano chiamate allora): Metro Goldwyn Mayer, MGM, Paramount, RKO, 20th Century Fox, Warner Bros.
La MGM è stata fondata nel 1924 con la fusione della Metro Pictures Corporation con la Goldwyn Company e la Louis B. Mayer Pictures. Considerata come la più potente, sotto la guida di Irvin G. Thalbeg, questa casa di produzione, il cui marchio è il famoso leone ruggente sovrastato dalla scritta Ars gratia artis, ha avuto sotto contratto i divi più noti del momento: da Rodolfo Valentino a Greta Garbo, da Joan Crawford a Spencer Tracy, da Clark Gable a Jean Harlow. La sua politica produttiva si impronta soprattutto nella realizzazione di grandi film d’evasione destinati soprattutto al pubblico familiare, di commedie sofisticate e di musical. Suo è il film che per decenni è stato alla testa degli incassi mondiali e che certamente è il film più visto di tutti i tempi: Via col vento (1939).
La Paramount è nata nel 1927 in seguito a una serie di fusioni, abilmente orchestrate già nel corso degli anni Dieci da Adolph Zukor e Jesse J. Lanskj. Il suo parco-attori comprendeva nomi come Mary Pickford, Gloria Swanson, Marlene Dietrich, Cary Grant, Bing Crosby. I suoi registi: Cecil B. De Mille, Ernst Lubitsch, Billy Wilder, Alfred Hitchcock. Anche per questa casa la regola produttiva primaria è quella del grande spettacolo, in modo particolare i superkolossal a grosso budget, ispirati spesso alla Bibbia, seguendo il detto di De Mille: "Un film religioso non ha mai fallito". È stata la prima a usare il technicolor con Il sentiero del pino solitario (1936).
La RKO – sigla che racchiude i nomi Radio-Keith-Orpheun – nasce nel 1929 e si contraddistingue dalle altre m. per la realizzazione di molti film di grande interesse artistico e per una certa libertà di azione concessa ai registi sotto contratto. Tra i quasi mille film prodotti durante la sua permanenza sul mercato (il 1956 è l’anno della sua chiusura e trasformazione in una società dedita alla produzione di telefilm e pubblicità), molti sono d’autore come Quarto potere (1941) e L’orgoglio degli Amberson (1942) di Orson Welles, La croce di fuoco (1947) e Il massacro di Fort Apache (1948) di John Ford; sono presenti nella sua produzione anche film d’avventura come il mitico King Kong (1933) di Ernest Schoedsack e Merian Cooper, o dell’orrore come Il bacio della pantera (1942) di Jacques Tourneur, e infine gli innumerevoli musical interpretati dalla coppia Fred Astaire e Ginger Rogers.
La 20th Century Fox, ultima nata delle m., viene fondata nel 1935 con la fusione tra la Fox Film Corporation e la 20th Century Pictures di J. M. Schenk e D. F. Zanuck. Tra i generi più frequentati da questa casa di produzione risaltano il melodramma, il western e il musical. I suoi divi più famosi sono stati Shirley Temple, Victor Mature, Tyrone Power, Maureen O’Hara, Gary Cooper, Marilyn Monroe.
Il percorso produttivo di questa casa di produzione riassume in sé, emblematicamente, tutti i motivi della crisi profonda che coinvolgerà, alla fine degli anni Cinquanta, anche le altre m.: i costi sempre maggiori imposti dallo star system, la disaffezione nei confronti di un certo cinema di genere da parte del pubblico e l’obsolescenza di alcuni standard narrativi culmineranno nel grosso insuccesso commerciale riscosso da un kolossal come Cleopatra (1960). Da questo momento in poi, tutte le m. sono costrette a ridisegnare la propria politica produttiva per potersi garantire ancora una presenza significativa all’interno del mercato cinematografico.
La Warner Bros, fondata nel 1923 dai fratelli Albert, Harry, Samuel e Jack Warner è il risultato anch’essa di successive trasformazioni industriali iniziate già nel 1913 con la costituzione della Warner Pictures. Dopo aver inglobato altre case di produzione – tra cui la Vitagraph e la First National – la Warner Bros è quella che, in anticipo sulle altre, sperimenta il brevetto Vitaphone per la realizzazione dei primi film sonori: Il cantante di jazz (1927) e Il cantante pazzo (1928). Il suo intervento produttivo, soprattutto negli anni di maggior sviluppo di questa casa, è incentrato tutto nella realizzazione di film a forti tinte realistiche. I generi più praticati sono il melodramma, il noir ( Film noir), i film che affrontano temi sociali, senza disdegnare i musical, soprattutto quelli diretti dal grande coreografo Busby Berkeley. Tra i suoi registi ricordiamo Michael Curtiz, Mervyn Le Roy, Howard Hawks, Raoul Walsh; tra gli attori Humphrey Bogart, Lauren Bacall, Bette Davis, Errol Flynn, Robert Mitchum.
Nel 1948, la Corte Suprema, in nome delle norme antitrust, decreta lo scioglimento delle m. La conseguenza immediata di tale decisione, unita alla presenza sempre più invasiva della televisione e ai mutati gusti del pubblico, porta nei decenni successivi a una radicale trasformazione del mercato produttivo americano, fino a giungere alla sua attuale configurazione, in cui sembra dominare una continua evoluzione per quanto riguarda la nascita e lo sviluppo di nuovi assetti societari.
Accanto alle m., sempre nel periodo della Hollywood classica, erano presenti anche altre case di produzione, meno importanti commercialmente, ma egualmente caratterizzate da una certa potenza dal punto di vista della loro penetrazione sul mercato: le cosiddette minors, che erano la Columbia, l’Universal e la United Artists.

Bibliografia

  • IZOD John, Hollywood and the box office, 1895-1996, Columbia University Press, New York 1988.
  • LAURA Ernesto G., Quando Los Angeles si chiamava Hollywood, Bulzoni Editore, Roma 1996.
  • PREDAL Renà, Cinema. Cent'anni di storia, Baldini & Castoldi, Milano 1996.

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Note

Come citare questa voce
Tagliabue Carlo , Majors, in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (29/03/2024).
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